il SocialistaLeopolda 8 rialzarsi per essere più forti di prima

La Leopolda è uno dei luoghi ai quali sono maggiormente legato, si può dire che sia cominciata li la mia passione per l'impegno politico, li ho incrociato persone che sono entrate nella mia vita, f...

La Leopolda è uno dei luoghi ai quali sono maggiormente legato, si può dire che sia cominciata li la mia passione per l’impegno politico, li ho incrociato persone che sono entrate nella mia vita, fatto esperienze che in nessun altro posto avrei avuto la possibilità di fare. Nel libello che nel 2013 ho scritto assieme a Sasha Perugini abbiamo raccontato la Leopolda che non raccontano i giornalisti, quella che non si vede a favore di telecamere e in un passaggio scrivo che la Leopolda non si può raccontare, bisogna viverla, ma alla fine di questa ottava edizione provo a mettere in fila alcune considerazioni.

La Leopolda c’è, per dirla alla Guido Meda il celebre telecronista delle gare di moto alla tv, e sette anni dopo la prima edizione nel 2010 la kermesse fiorentina di Matteo Renzi è ancora in salute, anzi sta meglio di prima.

Un luogo fatto di gente vera, in carne ed ossa, al tempo di internet, dei profili fake sui social, dei leoni da tastiera dove la gente ancora si incontra e si confronta, senza barriere, senza chiedersi da dove vieni, ma solo dove vuoi andare. Una Leopolda indie, come la colonna sonora, che abbandona Jovanotti e le influenze anglofone per abbracciare Coez e la sua “La musica che non c’è” tratta dall’album “Faccio un casino” perché che lo si ami o no Coez il casino lo ha fatto, di dimensioni inaspettate ed impronosticabili, un po’ come Matteo Renzi che partito dalla più antica stazione fiorentina è arrivato fino a Palazzo Chigi.

Una Leopolda per ritrovarsi dopo che il post 4 dicembre 2016 quando l’idea di un’Italia più semplice e moderna è stata bocciata dalle urne e le lancette dell’orologio della politica sono tornate indietro di vent’anni non è ancora stato metabolizzato da tutti noi. Ma dalla politica non ci si può dimettere, così la tre giorni fiorentina oltre agli abbracci (tra vecchi e nuovi leopoldini) ha messo al centro la politica con ministri, parlamentari e amministratori locali di cui andare orgogliosi e con i quali confrontarsi davvero. La Leopolda delle storie raccontate sul palco e nei corridoi, dei caffè e dei selfie che ora dopo ora vede il pessimismo della politica politicante lasciare spazio all’entusiasmo di chi ha voglia di lasciare il mondo un po’ meglio di come l’ha trovato.

Ho scoperto che ho una volontà forte e più disciplina di quanto avessi pensato e ho anche scoperto che avevo amici veramente inestimabili e sapere che vi rialzate più saggi e più forti delle cadute significa che sarete da allora in poi più sicuri nella vostra capacità di vivere. Matteo Renzi, nel suo atteso intervento di chiusura, cita il discorso ai neo-laureati della Harward University della scrittrice inglese J.K. Rowling, l’inventrice del successo planetario Harry Potter.

Lo fa davanti ad una Leopolda strapiena e un Pd diverso e assai più giovane rispetto a quello che Renzi ha trovato nel 2013. Matteo, perché qui si usa chiamarlo così, non è più il golden boy della politica italiana, ma lui e la sua band riunita attorno a lui nel luogo dove tutto è cominciato sono l’Olanda al mondiale di calcio del 1974. Come quella squadra faceva col calcio, questo gruppo può proporre una politica, non solo mai fatta prima, ma anche mai pensata prima.

In uno scenario dove le incertezze superano le certezze la Leopolda ha un popolo e questo si è riunito e per tre giorni la politica, la tanto vituperata politica, è stata in grado di emozionare persone con storie e provenienze diverse: genitori e figli, ragazzi e ragazze che sono arrivati a Firenze ognuno con la sua faccia e i suoi debiti di fronte ad un mondo che ci vuole sempre omologati, sorridenti, perfetti per dirla con le parole di Ligabue.

“Il vostro posto è provarci” ha detto Renzi dal palco, nell’anno in cui ricorrono i vent’anni del famoso discorso di Blair, quello di “education is the future” diventato un manifesto politico per più di una generazione. Firenze come la Blackpool del 1997. La strada da fare è tanta per evitare che la rabbia si trasformi in lagna, per far crescere la voglia di crederci a tutti per 30/40enni delusi e disillusi alle prese con i problemi di un Paese vecchio, arroccato sulla rendita, dove farsi una famiglia, acquistare un’auto o chiedere un prestito in banca è assai complicato. Usciamo da questa Leopolda e sicuramente non ricorderemo il nome e cognome di tutti quelli che abbiamo incontrato ma porteremo con noi l’abbraccio di quella moltitudine, come se fosse un’anima sola perché potranno cambiare gli interpreti o i ruoli, ma l’obiettivo rimane lo stesso, provare a cambiare questo benedetto assurdo bel paese.

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