Sono stati resi pubblici i risultati di un monitoraggio condotto dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) circa gli accessi effettuati dagli abitanti di 20 grandi Comuni alla sezione “Amministrazione trasparente” dei siti internet municipali: in circa 20 mesi, fra gennaio 2016 e agosto 2017, sono stati registrati quasi 4 milioni di clic di cittadini che sono andati a dare un’occhiata a quelli che una volta erano gli interna corporis dei loro Comuni. Uno su quattro ha navigato la sezione organizzazione, in cerca di compensi e spese, mentre quasi il 60% ha sfruculiato fra i provvedimenti dell’ente, inclusi gare e contratti. Sono dati assai interessanti, che vedono, curiosamente, una latitanza di romani e napoletani, con diffusione di accessi ancora a macchia di leopardo. Raffaele Cantone su La Repubblica di domenica ha espresso un legittimo e condivisibile compiacimento per i passi avanti fatti nel rendere l’amministrazione di prossimità – e non solo quella – una casa di vetro. Ed ha ragione: dove c’è luce, i malintenzionati ci pensano due volte prima di delinquere. Non solo: la trasparenza, accanto alla carica di deterrenza per i reati, ha un enorme potenziale di spinta alla costruzione di fiducia tra amministratori e cittadini. Certo, restano tuttora in piedi le critiche mosse alla pubblicazione – fatta salva la dovuta disponibilità per le amministrazioni – dei dati patrimoniali personali dei dirigenti pubblici (non ci torno), ma il fatto che i cittadini sempre più consultino e utilizzino i dati delle pubbliche amministrazioni in un regime di accesso alle informazioni ormai assai diretto è un fatto certamente positivo per la democrazia del nostro Paese. Un’osservazione, tuttavia,è dovuta: le perplessità di qualcuno circa il regime di trasparenza introdotto dal decreto 33 del 2013 (e dalle modifiche dell’anno scorso) non corrispondono esattamente a quel che evidenzia Cantone. Dice il Presidente dell’ANAC, infatti, che “fra i commenti, per lo più improntati alla diffidenza, ne prevalevano soprattutto due: si sarebbe trattato di un adempimento puramente burocratico, privo di conseguenze, e l’unico risultato sarebbe stato un “voyeurismo digitale”, finalizzato a conoscere gli stipendi di politici e dirigenti”. Posto che una fetta di gogna mediatica (vera o presunta) è fisiologica, e sono convinto verrà superata con la maturazione dell’approccio al sistema, il vero timore era e resta quello della sostenibilità della macchina. Siamo tutti d’accordo che la trasparenza debba essere parte integrante del funzionamento delle amministrazioni: anzi, è un percorso che va continuato con sempre maggiore determinazione e profondità, anche perché le pubbliche amministrazioni, in molti casi, devono ancora rendere la cifra della trasparenza come strategica del loro agire quotidiano, trasformando la propria cultura organizzativa. Non servono santi: serve un insieme di regole che scoraggi la corruzione. Il punto è che chi è chiamato a dar corpo a questi fondamentali compiti deve farlo rispettando il sacro dogma: quello dell’invarianza finanziaria. Recita, infatti, l’articolo 52 del decreto 33 che “dall’attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti previsti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente”. Insomma, ti arrangi. Non c’entrano nulla Cantone e l’ANAC, sia chiaro. Tutti noi facciamo quel che la legge ci dice di fare, al meglio delle nostre capacità e competenze. È, tuttavia, opportuno che tutti (e in primo luogo noi come cittadini), si sia consapevoli che realizzare e rendere concreta la sacrosanta trasparenza comporta tempo e impegno, dovendo fare, allo tesso tempo, tante altre cose, piccole e grandi, che vanno a comporre la vita quotidiana di un ufficio pubblico. La casa di vetro è un dovere: le mani per pulirla per bene e non lasciare aloni sempre due restano.
29 Gennaio 2018