La popolarità dell’ex presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva è tale che la notizia del suo arresto ha avuto vastissima eco in ogni parte del mondo, e così fior di commentatori hanno ritenuto di dire la loro, cercando peraltro di trarre paralleli e insegnamenti di ogni tipo dalla vicenda.
Il Corriere di oggi 10 aprile gli dedica addirittura un fondo in prima pagina, a firma di Paolo Mieli, ed ovviamente solo alla fine si scopre che parlare di un clamoroso fatto di cronaca internazionale serve per l’ennesima volta solo a criticare la sinistra italiana, accusata questa volta di scoprirsi garantista solo quando a finire nei guai sono gli amici.
Ora, a parte che ciò non è così vero (Renzi, per fare un esempio tra tanti, più volte nei mesi scorsi ha ribadito che le inchieste sulla Raggi non implicavano alcuna presunzione di colpevolezza, e che le sue critiche erano centrate sul modo di governare Roma), quello che colpisce nel fondo di Mieli è che per alimentare una sterile polemicuccia nostrana si debba fornire una visione distorta della realtà, alterando i fatti del processo Lula.
La polemica infatti non sarebbe efficace se il dubbio circa l’effettiva innocenza di Lula (condannato perché avrebbe ricevuto un appartamento in cambio di favori illeciti) fosse fondato, e dunque non solo vengono semplicemente ignorati i tanti lati oscuri della vicenda (che hanno indotto un giornale notoriamente poco attento ai fatti come il New York Times a pubblicare l’articolo disponibile a questo link: https://www.nytimes.com/2018/01/23/opinion/brazil-lula-democracy-corruption.html, dove si legge tra l’altro “The evidence against Mr. da Silva is far below the standards that would be taken seriously in, for example, the United States’ judicial system”), ma si riferiscono in modo errato fatti storici indubbi, su cui l’ultimo degli stagisti del Corriere avrebbe potuto fare piena luce in una ricerca internet di pochi minuti.
Ciò avrebbe evitato a Mieli di scrivere, con il tono di chi dice ora vi spiego tutto io, “esistono però un contratto di acquisto, firmato nel 2005 dalla moglie di Lula, Marisa, e ritrovato nella loro casa; fotografie che documentano sue ispezioni ai lavori di ristrutturazione dell’appartamento”. Quanto riferito da Mieli non spiega nulla, perché è un fatto pacifico che Lula nel 2005 comprò “sulla carta” (come si usa anche in Italia) una unità nell’immobile da costruire a cura di una cooperativa, e che questa quota da allora è stata dichiarata nella sua dichiarazione dei redditi (dunque non era occulta per niente), così come è pacifico (anche questo accade ahimé anche in Italia) che la cooperativa fallì senza portare a termine la costruzione, così che i malcapitati aspiranti acquirenti (tra cui appunto l’ex presidente e la moglie, quando il primo era in carica con una popolarità altissima, e dunque se cercava favori illeciti sarebbe stato facile trovare un finanziatore compiacente per evitare il fallimento) si trovarono con un credito di difficile recuperabilità, finché appunto nel 2009 il progetto viene rilevato dalla OAS, impresa di Leo Pinheiro, il pentito la cui testimonianza è la principale prova a carico di Lula. È solo da questo punto che le tesi divergono, Lula ammette di esserci andato uno-due volte, ma di aver poi desistito dall’acquisto, Leo Pinheiro dapprima ha affermato di averglielo offerto senza successo, poi (dopo la condanna a 22 anni, dopo che successivi tentativi di “pentirsi” erano stati respinti da Moro) ha cambiato versione dicendo che l’immobile (non più quello originario scelto nel 2005, ma l’attico) era stato successivamente destinato di Lula, quale compenso per favori illeciti non meglio identificati (“ato de oficio indeterminado”, secondo la stessa sentenza di condanna) legati a contratti Petrobras del 2009, un raro, se non unico caso di tangente post datata.
I fatti sono basicamente questi, e ciascuno (beninteso dopo averli riferiti correttamente) può vederci quello che ritiene, così come può definire “favoloso” l’appartamento in questione, e questo invero può riuscirgli più facilmente se non è mai stato a Guarujà, triste cittadina litoranea troppo a ridosso di San Paolo per essere una località di pregio e/o non conosce gli standard di vita dei ricchi brasiliani, e dunque non sa che cosa è “favoloso” secondo quei parametri (elemento essenziale per vagliare la credibilità di accuse di corruzione di chi per oltre 10 anni è stato il “padrone” politico del Brasile).
Ma è triste che un giornalista come Mieli rilanci menzogne cui neppure i siti della più fanatica propaganda anti-lulista in Brasile hanno ritenuto di prestare più di tanto attenzione, come il rumor secondo cui in un momento così drammatico Lula avrebbe cercato di ritardare il momento della consegna alla polizia fino al giorno dopo per assistere al derby Palmeiras-Corinthians, o ancora che si è fatto scudo della folla per negoziare una sistemazione carceraria confortevole (era facile verificare il contrario, visto che è andato online immediatamente l’ordine di arresto di Moro, dove lo stesso acerrimo accusatore di Lula indicava che “visto l’alto incarico” in passato ricoperto dall’ex presidente aveva fatto prepare per lui una cella speciale).
Una brutta pagina di giornalismo, caro Mieli. Puoi sostenere che Lula è colpevole, che tanti politici alternano garantismo e giustizialismo a seconda della convenienza (chi scrive per la cronaca ritiene di avere la coscienza a posto, avendo sempre denunciato nel suo piccolo gli eccessi della persecuzione contro Berlusconi degli anni passati), senza per questo dover stravolgere i fatti.