OTR II, prima delle uniche due date in Italia, venerdì 6 luglio a San Siro. Beyoncé e Jay-Z. Jay-Z e Beyoncé. Boom. Con tanto di poster tributo al classico del cinema africano, così da aggiungere valore culturale all’operazione musical-commerciale.
Pubblico delle grandi occasioni, nonostante l’acquazzone, fin dal tardo pomeriggio, cosa probabilmente prevedibile nel 2018, ma che ancora stupisce chi, come il sottoscritto, ascoltava hip-hop before it was cool (almeno da questa parte dell’Atlantico) e quando Shawn Carter rappava Can’t Knock the Hustle e lo dovevi ascoltare su CD senza fare dribbling tra Spotify, Apple Music e Tidal. *(Che è un po’ come quella sensazione che ti assale quando tu, infante cresciuto a pane, Steve Rogers e Optimus Prime, da grande vedi milioni di persone appassionarsi dei film live-action dei supereroi Marvel o dei Transformers, trasposizioni cinematografiche che automaticamente rendono un prodotto da “materiale da nerd di nicchia” in “materiale fighissimo mainstream” e tu sei combattuto tra la soddisfazione di aver fatto parte di una ristretta cerchia di persone che avevano avuto ragione prima del resto dell’umanità, e l’insofferenza verso queste mandrie di nuovi fans che in fondo in fondo disprezzi perché magari pensano che Spider-Man e Batman convivano nello stesso universo)*
Dopo un po’ di attesa, lo spettacolo. Lights, camera, action. Pronti, via, senza band o altri artisti a fare da apripista. E lo show è quello delle grandi occasioni. Tutto studiato e preparato sin nei minimi dettagli, con tanto di maxi schermo e immagini suggestive. Applausi e folla in estasi quando arrivano sul palco loro, Beyoncé e Jay-Z. Ovvero due artisti larger than life. Due che riempirebbero le arene anche se si esibissero singolarmente. Invece qui sono insieme, lo sono anche nella vita e fanno notizia qualsiasi cosa combinino. Lasciamo da parte tutto il dibattito sulle loro vicissitudini matrimoniali ed extra coniugali, sebbene secondo alcuni funzionale a capire il perché di molti loro contenuti musicali e, in parte, anche del tour stesso (argomento per il quale si indirizzano i lettori verso chi davvero se ne capisce di musica). Ora però sono insieme. Oltre che sulla carta, anche sul palco, mano nella mano e di bianco vestiti, pronti a esibirsi. E qui già capisci che non sono – e non vogliono essere, probabilmente – una cosa sola, non sono un ibrido Jayonce o BeyZ, ovvero un affiatato duo che musicalmente e artisticamente si intende e si incastra alla perfezione. No, sono la somma di due singoli. Due singoli straordinari, s’intende, che danno vita a straordinaria musica. Che però restano ben distinti. Beyoncé fa Beyoncé, Jay-Z fa Jay-Z, due mogul, due imperi viventi del business discografico – e non solo – che si trovano sullo stesso palco e che quando si incrociano ballano e interagiscono forse più per esigenze di sceneggiatura che per altri motivi.
Dal punto di vista dello spettacolo, nulla da dire. Giochi di luce sbalorditivi, fiamme che prendono vita sul palco, effetti da Super Bowl. Il repertorio è da lista dei preferiti che rende inutile il tasto shuffle. Una hit dopo l’altra. C’è pure “N****s in Paris” senza la parte di Kanye. OTR II è uno show itinerante. È come un enorme circo di elevatissima qualità, che monta il suo tendone, fa la sua esibizione e poi, terminato lo show, prosegue il suo percorso, ripetendo la scaletta, serata dopo serata, città dopo città.
Ecco, forse è questo un particolare elemento che caratterizza il concerto, nel bene o nel male. La performance dei coniugi Carter è automatica, si trovano all’interno dello stadio di San Siro, ma potrebbero essere a Hong Kong, Mosca o Vancouver. Oppure in televisione. Un motore perfettamente oliato che entra in funzione con l’inizio dell’esibizione e che si ferma al termine. Start, finish, repeat. Nessuno che salga sul palco prima di loro. Nessuna improvvisazione, nessun fuori programma. Nessuna interazione con il pubblico presente: senza pretendere stravolgimenti di scaletta, anche un solo “ciao Milano” avrebbe reso il tutto leggermente più spontaneo, o un tantino meno freddo e automatizzato. Sia chiaro: tutto ciò poco o forse nulla toglie al contenuto artistico e al valore musicale di uno show memorabile e pressoché perfetto in ogni suo dettaglio. Ma un minimo accenno di coinvolgimento, forse, non avrebbe guastato. Al termine, nessun bis. I ringraziamenti e la musica. E sullo schermo gigante le immagini conclusive che fungono da titoli di coda, come al termine di un bellissimo show, visto in tv.