Sembrano lontanissimi in temi in cui Renato Brunetta, allora ministro per la PA nel IV Governo Berlusconi, attaccava i “fannulloni assenteisti che nella Pubblica Amministrazione sono il doppio del settore privato” (2008) e i “poliziotti panzoni”, che non hanno fatto altro che i passacarte, inutili in strada “perché se li mangiano” (2009). Innocue carezze, a confronto delle bordate che Matteo Renzi, prima candidato alla guida del PD e poi Presidente del Consiglio, sparava contro la burocrazia, il “nostro più grande avversario” (2016), lamentando che nella palude Italiana “i funzionari, i dirigenti pubblici, i burocrati ci sguazzano, ma nella palude le famiglie italiane affogano” (2014). Dallo scorso marzo, dopo un periodo di relativa tranquillità, sembra si sia tornati ad un clima tempestoso fra politica e tecnocrazia, con insistenti accuse ai funzionari del Ministero dell’economia e delle finanze di ostacolare l’azione del governo e ai burocrati di remare contro il Paese. Un rapporto burrascoso, quello fra politica e burocrazia, che affonda le radici lontano nel tempo, in una perenne – e, si direbbe, naturale – tensione fra due attori che, sotto il tetto della Costituzione, hanno proprie stelle polari che non sempre e non necessariamente coincidono: la ricerca ed il mantenimento del consenso per gli uni, il rispetto delle norme e delle prassi interne per gli altri. L’avvento della cosiddetta seconda Repubblica e l’affermazione di caratteristiche leaderistiche e del diretto e continuo contatto con gli elettori da parte delle forze politiche e dei Governi ha comportato, tuttavia, un cambio di passo. Un fenomeno non solo Italiano, beninteso, ma del tutto inedito per l’Italia, in cui, a partire dall’utilizzo disinvolto del mezzo televisivo da parte di Silvio Berlusconi, ha preso piede un nuovo rapporto immediato con l’elettorato, in cui lo slogan, la parola d’ordine e la forzata semplificazione dei temi sono le note dominanti.
Nulla di tragico: è il nuovo volto della politica che, in tutto il mondo, mira alla mobilitazione permanente del proprio elettorato attraverso i mezzi di comunicazione del momento: ieri la televisione, oggi i social network. Cosa c’entra tutto ciò con la burocrazia, ci si chiederà. È presto detto. Suscitare alte aspettative nell’elettorato comporta la necessità di risultati immediati ma, una volta al Governo, appare chiaro che i cambiamenti desiderati non possono avverarsi con uno schiocco di dita. È ciò, naturalmente, al netto di tutte le inefficienze di cui la macchina pubblica Italiana, al pari di ogni apparato burocratico al mondo, soffre: anzianità dei dipendenti, farraginosità delle procedure, confusione dei ruoli. Approvare una legge è solo il primo passo: segue la parte fondamentale, quella dell’implementazione, che avrà tempi ed esiti assai diversi a seconda delle condizioni di partenza, fra le quali spicca la bontà della legge che, data l’urgenza di fare il proprio ingresso in società, può mancare di un concreto e realistico studio di fattibilità. Non raramente, inoltre, risente delle necessarie stringenze del compromesso politico e stenta, di conseguenza, a offrire indirizzi chiari e univoci. Ed è proprio qui – occhio! – che entrano in gioco i burocrati. Sono coloro a cui spetta dar corpo ai desiderata della politica e mutarli in azioni, politiche, procedimenti che producano quell’effetto che la politica stessa aveva in mente. Posto che i tempi di realizzazione non sono quelli degli annunci ma quelli dettati dall’ordinamento, inclusi i necessari passaggi di controllo terzo, e che il risultato finale che esce dalla black box è solitamente e sensibilmente diverso dalle originarie intenzioni del legislatore (tranquilli, funziona così ovunque), è immediata e naturale la caccia all’untore: il maledetto burocrate. Se il coniglio non esce dal cappello, la colpa è di quel polveroso mezzemaniche che – chissà perché, poi – mette i bastoni fra le ruote e, oscuro e malvagio demiurgo, sabota astutamente il normale flusso degli eventi. Ebbene: ci sta. Il rapporto di odio e amore fra politica e burocrazia è parte integrante delle dinamiche delle moderne democrazie e, aldilà delle dichiarazioni roboanti, nella quotidiana attività si stempera in una leale collaborazione. Tumultuosa, magari: ma che nella generalità dei casi funziona.
Occorre, però, non superare il livello di guardia. Se si arriva a minacciare purghe od epurazioni, identificando i burocrati come nemici del Governo e del popolo stesso, tali minacce vanno rispedite al mittente con sdegno. Non per la personale conservazione della cadrega, ma per la garanzia del basilare principio della imparzialità dell’azione amministrativa che, nel dar seguito alle indicazioni del vertice politico, non può non tener conto del quadro normativo, che mira a tutelare, prima di tutto, l’eguale diritto dei cittadini ad una PA che non operi sulla base di favoritismi o personalizzazioni. Non solo. Se burocrati e burocrazie sembrano dominare oggi gran parte del dibattito pubblico, servirebbe quantomeno riportare la discussione nei binari della correttezza semantica, dal leitmotiv dei burocrati europei (in cui, criticabili quanto si vuole, vengono ricompresi Commissari europei che sono quanto di più politico ci sia) al continuo pasticciaccio sui burocrati nostrani, che ha recentemente spinto il Presidente del Consiglio di Stato a definire errore da matita blu quello di confondere continuamente la dirigenza amministrativa, che resta a garanzia della continuità, con i magistrati amministrativi e i consiglieri parlamentari che ricoprono ruoli negli Uffici di diretta collaborazione e che, per loro natura, sono fiduciari e rimuovibili. In poche parole: inutile intavolare discussioni se si confondono i termini di base di una questione. E, infine: ridiamo, per carità di Patria, diritto di cittadinanza ai competenti. La competenza acquisita col lo studio, il lavoro e con l’esperienza, fino a prova contraria, è merce preziosa per un Paese, in tutti i campi. Il diffuso e ostentato disprezzo per il sapere burocratico (amministrativo, contabile e manageriale), identificato come fastidioso latinorum da gettare alle ortiche, può essere di qualche utilità per la propaganda politica, ma costituisce un danno enorme per la credibilità del sistema Paese. Non che le tecnocrazie debbano essere immuni da critiche. Anzi, è bene ed è salutare che prenda piede una discussione pubblica seria sui tanti ed importanti nodi da sciogliere, come la valutazione, i controlli, i servizi. Lo chiedono, in verità, gli stessi servitori dello Stato che fanno il loro dovere non di rado in situazioni complicate. Ma è responsabilità della (buona) politica far leva sulla (buona) burocrazia, condannando senza appello pulsioni da rivoluzione culturale maoista e tenendo ben presente che siamo tutti sulla stessa barca, e che tutti si deve remare nella stessa direzione. Parafrasando un celebre film di qualche anno fa, politica e burocrazia possono probabilmente definirsi quasi amici, e devono forzatamente tenersi per mano, ma un clima di guerra continua non serve a nessuno. Tantomeno agli Italiani.