Da ieri è attivo un account (ovviamente fake) di Salvatore Buzzi, criminale romano condannato recentemente a 18 anni di carcere per Mafia Capitale.
Nel momento in cui scrivo questo profilo conta circa 30 follower, alcuni dei quali sembrano perlopiù aderire ad aree politiche di centrodestra e pentastellate; altri, invece, sono altri account parodistici. Ad un giorno dalla creazione, inoltre, ha twittato più di 100 volte, interagendo prevalentemente con gli esponenti del Partito Democratico.
Da Nicola Zingaretti a Maurizio Martina, passando per Federica Angeli, Mimmo Lucano, Silvio Berlusconi, Maurizio Gasparri, moltissimi dem hanno ricevuto endorsement pubblici da questo profilo che solo in fondo alla propria descrizione si scopre essere “parodistico”.
Alcuni utenti, ovviamente, ne sono rimasti colpiti e, insieme a qualche insulto e improperio, fioccano anche le critiche al Partito Democratico, reo di aver avuto collegamento con Buzzi e di ricevere, ancora oggi, sostegno pubblico da lui.
Il tweet fissato in alto chiarisce fin da subito la missione del (finto) Buzzi: ricostruire il PD, istituire il Fronte Repubblicano, praticando la filosofia della integrazione multiculturale; nella descrizione, infatti, si legge una estesa call to action: “aiutami ad aiutare i popoli dell’africa ad integrarsi nel nostro paese.
Ovviamente, non è la prima volta che personaggi reali vengono rappresentati da account falsi: di account fake se ne sono visti molti, soprattutto in ambito politico. Senza scomodare la Russia e l’elezione di Donald Trump, da tempo in Italia assistiamo alla creazione di profili falsi che riproducono fedelmente i canali ufficiali di politici e personalità pubbliche.
Questi account, che il più delle volte si autodefiniscono parodistici, riportano la stessa foto profilo dei reali e si differenziano solo in alcuni piccoli particolari, che spesso sfuggono agli occhi dei più.
Il nome utente, identico, non riporta ad esempio la cosiddetta spunta blu (elemento che verifica l’autenticità degli account su twitter) e il mention (il testo dopo la chiocciola) riporta refusi pressoché impercettibili (ad esempio, una i maiuscola al posto della L minuscola).
Una volta costruita la presenza digitale identica a quella del canale ufficiale, i proprietari dei profili intraprendono conversazioni dissacranti con utenti e altri politici (reali), esprimono dichiarazioni borderline che irritano e insultano gli utenti, costringendo alcuni profili ufficiali a rettifiche e smentite continue.
È accaduto a tanti: dal più celebre Matteo Salvini, che si è visto copiare da @matteosalvimimi, al suo responsabile della comunicazione Luca Morisi (che su twitter si è ritrovato il clone Luca Monisi – @lumorisi, con la i maiuscola in luogo della L), ma anche a Nicola Zingaretti (@nzigaretti, senza N), Paola Taverna e Paola Binetti; alcuni di loro si sono ritrovati quindi in conversazioni che sembravano una scena di Inception. Col tempo, alcuni di questi profili sono stati bloccati, e l’autore ha addirittura presenziato a Propaganda Live, raccontando la storia del suo account.
Ma, al tempo in cui il dibattito sul ruolo della fake news è ancora caldo, vien da domandarsi: è ancora satira una satira che, non dissacrando l’oggetto della sua azione ma bensì gli spettatori, che non la comprendono pienamente, irrita tutte le parti in causa?
Ciò che muove gli autori di questi profili, cos’è? Ricerca di una web-notorietà o il già citato sacrosanto diritto di satira e alla parodia?
E infine, una riflessione di contesto: il principale effetto di queste attività è, a conti fatti, uno solo: aumentare il nervosismo del dibattito pubblico in un paese con un tasso di sfiducia verso il sistema elevatissimo.
Cui prodest?