Politica & popcorn Il profilo del PD sta bloccando molti utenti su Twitter

Da qualche giorno si sta diffondendo su Twitter l’hashtag #PDBLOCCACITUTTI. L’hashtag racconta di una svolta nella strategia del Partito Democratico su Twitter: tutti i canali ufficiali del PD, in...

Da qualche giorno si sta diffondendo su Twitter l’hashtag #PDBLOCCACITUTTI.

L’hashtag racconta di una svolta nella strategia del Partito Democratico su Twitter: tutti i canali ufficiali del PD, infatti (@pdnetwork, @SenatoriPD e @DeputatiPD) non sono più visibili a molti utenti, che si vedono comunicare il ban e, quindi, non hanno più la possibilità di interagire con quei canali. Alcuni di questi utenti avevano infatti già interagito con i contenuti Dem, criticandoli e commentando negativamente (a volte, anche molto duramente e con toni molto forti). Altri, invece, non avevano mai avuto a che fare con gli account del PD, e ne sono rimasti molto sorpresi.

La decisione di bloccare le voci critiche ha sollevato una specie di rivolta da parte di questi utenti, circa 650, che hanno quindi iniziato a veicolare l’hashtag con più di 7500 tweet in soli tre giorni, associandolo spesso ad un video-collage con tutte le dichiarazioni e le promesse – molte delle quali, poi, sconfessate dai fatti – di Matteo Renzi (un grazie al grande Pietro Raffa per l’elaborazione e la revisione dei dati).

L’hashtag (diffuso principalmente in Italia ma alimentato anche da utenti che risultavano essere in Germania, Spagna e in Nord America) ha raggiunto un totale di 5 milioni e mezzo di utenti unici, che han visto i contenuti collegati alla vicenda più di 9 milioni di volte (dati – parziali – su SocialAlert.com). In molti hanno pensato ad un tool in grado di bloccare gli utenti in modo automatico (magari proprio coloro che veicolavano un contenuto specifico, come il video di cui sopra); il fatto curioso è che, in mezzo agli utenti bannati, è capitato anche qualche giornalista, che – lamentandosi pubblicamente e chiamando in causa alcuni esponenti PD – ha ricevuto scuse ufficiali e si è visto ripristinare la situazione precedente, tornando a poter interagire con gli account del PD.

Non è la prima volta che la funzione ban di Twitter entra in modo preponderante nel dibattito pubblico: Wired ha stilato una lista (incompleta) dei profili bloccati da Donald Trump. Una situazione che costringe ad una riflessione sul diritto, prima che sulla politica: è stato vietato, al profilo privato del Presidente, di bloccare le persone su Twitter perché sarebbe una violazione della libertà di parola e di espressione sancita nel primo emendamento della Costituzione. Il Presidente USA ha fatto ricorso in appello contro questa decisione: il profilo è infatti quello personale (@realdonaldtrump) e non quello ufficiale della Presidenza della Casa Bianca (@POTUS). La vicenda è interessante perché coinvolge temi importanti come la libertà d’espressione e i diritti umani, i limiti e le opportunità della tecnologia e la pervasività dei social network nella nostra società, onnipresenti e sempre più rilevanti nella formazione dell’opinione pubblica: vedremo come andrà a finire.

Senza entrare però nel merito dei profili costituzionali e senza dover andare oltreoceano, noi, nel nostro piccolo, ci possiamo porre alcune domande. È legittimo che un Partito non permetta alle voci (molto) critiche di esprimersi? Più in generale, il profilo di un partito è sovrapponibile ad un profilo privato, e può quindi limitare la visibilità dei suoi contenuti?

Oppure, possiamo assumere che i canali social di un partito sono ormai una tale fonte di informazioni che dovrebbero rispondere ad un interesse pubblico, che coinvolge anche i suoi detrattori? E ancora: qual è il risvolto politico della scelta strategica di silenziare alcuni utenti, rinunciando aprioristicamente ad interagire con loro?

Non parlare ad utenti molto polarizzati, così critici da considerare impossibile un confronto e un dialogo, è una scelta che un partito (un tempo, a vocazione maggioritaria) può prendere? Non ho alcuna risposta a queste domande, per questo le faccio ad alta voce.

Ma c’è una cosa si può affermare con certezza: questa è una scelta strategica (e politica) che fa discutere. E non solo chi rientra nel ban di massa.

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