L'ambulanteLa commozione di Charles Aznavour davanti a un vecchio vinile e la lezione da gigante in piazza San Marco

Mi trovai faccia a faccia con Charles Aznavour (1924-2018) in occasione del reading di un suo libro. Chiesero espressamente a noi giornalisti di non portare dischi. Io disobbedii, spalancai come un...

Mi trovai faccia a faccia con Charles Aznavour (1924-2018) in occasione del reading di un suo libro. Chiesero espressamente a noi giornalisti di non portare dischi. Io disobbedii, spalancai come una finestra un vecchio vinile Barclay senza dire una parola e far notare ai colleghi le mie mani tremolanti.
Il gesto colse la sua attenzione e lo distolse da tutto il resto. Fissò gli occhi sul suo ritratto nella copertina apribile che si trasformò in uno specchio. Aznavour si commosse e, senza dire una parola, tirò fuori la biro dal taschino per firmare il disco. Allungò la mano e me la strinse, dando la precedenza all’uomo sull’artista.

Questo è stato il primo ricordo ritrovato appena le agenzie di stampa hanno battuto la notizia della sua scomparsa. Il 16 luglio 2010 mi inviarono a recensire il concerto di Aznavour in piazza San Marco a Venezia. Quello che più mi impressionò dell’ugola francese quasi novantenne fu la freschezza e l’estensione della vocalità, capace di guadagnarsi l’ennessima standing ovation mentre proseguiva un pezzetto di concerto senza l’accompagnamento orchestrale per un problema tecnico.
In quella sera d’estate, nel salotto più sontuoso della Laguna, assistemmo alla lezione di un gigante – sarebbe riduttivo definirlo chansonnier – che ha scritto e cantato la Francia, trasfigurandola nella landa epica del Novecento.

Nessuno più di Charles Aznavour ha attraversato la Francia, la sua storia, le sue contraddizioni, gli scivoloni dalla Prima alla Terza Repubblica, con l’incauta consapevolezza che delle poesiole intinte in profumi letterari erano destinate a saccheggiare meravigliose melodie e farsi patrimonio di un Paese.
Il Faut Savoir, Desormés, A ma femme, Comme ils disent, She, Qui c’est triste Venice, La Boheme, Hier Encore, For me Formidable – e potremmo andare avanti per i chilometri che legano Marsiglia a Parigihanno costellato il ‘900 francese con l’unica colonna sonora che in maniera traversale si è depositata nell’immaginario collettivo senza rughe né stanchezza.

Le battaglie civili di Aznavour, figlio di immigrati, al fianco degli armeni, vittime di un genocidio ancora non riconosciuto dai mandanti, raccontano l’altra faccia dell’artista che non si è mai tirato indietro dinanzi alle proprie radici. L’opera omnia di Charles Aznavour non si riduce alla manciata di canzoni finite nella padella dei social e noi cultori abbiamo dovuto patire anni affinché fosse restaurata e restituita in tutta la bellezza integrale.

Mentre la Francia piange la perdita della sua voce per eccellenza, delle canzoni che hanno lenito le ferite, dello specchio intimo in cui si riflettevano le energie giovanili tramandate di generazione in generazione, noi invece siamo consapevoli che l’eredità di Charles Aznavour saprà farci guardare alla memoria del futuro senza rimorsi né pentimenti.

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