Dopo 46 anni dall’uscita di Il Padrino siamo ancora convinti che questo film abbia gettato addosso all’Italia e agli italiani l’odioso cliché di “pizza, mafia e mandolino”?
La Corte di Strasburgo, dalla quale l’Italia è stata bacchettata per aver mantenuto il carcere duro a Bernardo Provenzano fino alla morte, dovrebbe avere memoria lunga: basterebbe ricordare il ridacchiare alle spalle dei nostri emigranti in alcuni Paesi europei e quelle goliardiche insinuazioni di affiliazioni mafiose. Succedeva a lavoro, a scuola, come mi raccontò un pensionato durante un viaggio in Baviera, emigrato per lavoro in Germania dal Sud Italia all’alba degli anni ’80.
L’introduzione dell‘articolo 41 bis nel 1986, oltre ad essere stato una tappa importante nel braccio di ferro Stato-Mafia, si è rivelato anche una liberazione dal luogo comune per chi si ostinava a guardare l’Italia come il Belpaese dei balocchi, in cui anche un Capo di Cosa Nostra poteva concedersi il lusso di continuare a muovere i fili del potere una volta messo al fresco.
Il cosiddetto Carcere duro è stata una presa di posizione netta e senza sconti per nessuno che ha contrastato i riti mafiosi, tornati in voga tra le pagine del bestseller di Mario Puzo e nell’affresco della trilogia di Il Padrino, che diede a Cosa Nostra nuovi slanci nell’immaginario collettivo.
La Corte di Strasburgo, che insinua un trattamento disumano da parte dello Stato Italiano nei confronti di uno dei più feroci capi mafiosi del ‘900, offende la memoria di tutti i morti per Mafia e del dolore delle loro famiglie, iniziando da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Piersanti Mattarella, Peppino Impastato, eccetera, eccetera.
La lista e il ricordo di tutti questi nostri martiri basta ad assolvere lo Stato Italiano per non aver accompagnato “Zu Binnu” negli ultimi giorni verso la morte rispettando il codice dei diritti umani?