Passione e Competenza per un\'Italia migliorePer costruire un welfare sostenibile occorre pensiero innovativo

Proviamo a immaginare che il welfare sia innovazione. Lasciando per un momento da parte tutte le definizioni che conosciamo- dal welfare integrativo al welfare di comunità a quello territoriale, pr...

Proviamo a immaginare che il welfare sia innovazione. Lasciando per un momento da parte tutte le definizioni che conosciamo- dal welfare integrativo al welfare di comunità a quello territoriale, proviamo semplicemente a pensare ad un welfare capace di dare nuove risposte a nuovi bisogni sociali emergenti, a partire dai profondi squilibri demografici e occupazionali che caratterizzano il nostro paese.

Siamo un paese che invecchia, in cui si fanno sempre meno figli, si spreca il talento femminile, in cui è un problema essere giovani perché sono soprattutto i giovani ad avere difficoltà a trovare lavoro e a crearsi una famiglia, in cui la mobilità sociale è bloccata, in cui una solo una persona disabile su cinque lavora.

Per sopravvivere a una tempesta di queste dimensioni le riforme del welfare pubblico e privato dovrebbero prendere le mosse dall’idea che la demografia è la base su cui costruire gli scenari dei possibili futuri e dalla certezza che occorre puntare sulle competenze e la conoscenza per promuovere lo scambio intergenerazionale, risolvere gli squilibri e combattere le fragilità sociali.

Nel recente meeting di Prioritalia “costruire un patto tra generazioni nell’economia dell’innovazione e delle competenze” in cui abbiamo ospitato più di sessanta tra esperti di settore, manager d’azienda, leader sociali e giovani innovatori, è emerso forte il bisogno di un nuovo welfare della conoscenza basato su un diritto soggettivo alla formazione, come unica soluzione di continuità per garantire e mantenere alta la propria employability, ad ogni livello generazionale. Perché è nell’accumulazione e nel continuo aggiornamento del patrimonio di conoscenze che si giocano il futuro e la prosperità di un ecosistema economico-sociale.

Ciò che può unire le generazioni è il diritto di accesso alla conoscenza continuativa lungo tutto l’arco della vita, per far fronte alle sfide poste dai nuovi saperi e dalle nuove tecnologie.

La condivisione della conoscenza può riconnettere giovani e anziani perché entrambi, per ragioni diverse, hanno un gap di conoscenza rispetto alla direzione che prende il mondo.

Le aziende devono quindi farsi carico di questo tema, perché sono loro che fungono da modello, che sono esemplari, che fanno la cultura di un paese. Le aziende hanno una capacità d’inclusività, di comunità che le rende idonee a connettere le competenze diverse delle specifiche generazioni.

Attivare il ponte generazionale in agenda, renderlo strutturale e continuo è tuttavia condizione necessaria ma non ancora sufficiente. Questa sfida infatti si vince solo se gioca a tutto campo. Serve un sistema di welfare dinamico, calibrato su una rete sociale integrata che va al di là dell’organizzazione aziendale che è pur sempre evolutiva.

Ad esempio nei Paesi del Nord Europa i sistemi di welfare, sulla base dal fatto che la vita lavorativa sarà sempre più lunga e incerta, consentono ai baby boomers di staccarsi un giorno a settimana dal loro normale lavoro per dedicarsi ad attività di affiancamento e mentorship dei manager di domani. Una buona pratica replicabile per promuovere interventi da parte di senior a favore di giovani con vocazione imprenditoriale o che sono alla ricerca di un lavoro, anche attraverso forme di partenariato con agenzie pubbliche. Uno scambio virtuoso non solo di competenze tecniche ma anche di fiducia e valore importante, perché prima di sviluppare tecnologie bisogna formare persone che sappiano ragionare in modo etico.

Un welfare innovativo dovrà tenere conto anche di nuovi meccanismi di incentivazione alla vita lavorativa femminile che, non a caso, è una delle più basse d’Europa e del mondo occidentale.

Un altro squilibrio che richiede soluzioni non più rinviabili infatti riguarda le donne impegnate nella cura dei figli e nella cura degli anziani, le donne che fanno part time involontario, le donne che hanno difficoltà ad accedere al mercato del lavoro e a fare carriera, le donne che ancora abbandonano prematuramente il lavoro dopo la nascita dei figli.

Innovare vuol dire in questo caso fare, per esempio, delle leggi per la parità in relazione al congedo per la nascita di un figlio: in Italia 4 gg. contro i 13 gg. in Spagna e i tre mesi in Svezia.

O ancora incentivare nuove tipologie di co-housing tra giovani e anziani in cui avendo disponibilità di spazi, luoghi e strutture lo scambio intergenerazionale possa essere favorito attraverso sistemi di banca del tempo e forme reciproche di mentoring. O anche portare avanti politiche di inclusione lavorativa e di accessibilità sul tema della disabilità superando le logiche meramente assistenzialistiche in favore di quelle di empowerment.

Accostare il welfare di domani all’innovazione può dunque aiutarci a comprendere come l’innovazione debba essere sostenibile e non solo disruptive, sociale e non solo tecnologica, concreta e non solo virtuale. Adattando un celebre discorso all’epoca dei millennials si potrebbe pertanto dire “non dobbiamo chiederci se innovare, ma come!”

Marcella Mallen

Presidente Prioritalia.

www.prioritalia.it

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