Con la sua travolgente elezione al ballottaggio del 19 giugno 2016 (ben 770.564 voti) Virginia Raggi è diventata il più giovane sindaco di Roma della storia e, allo stesso tempo, anche la prima donna a ricoprire tale carica. “Noi dobbiamo oggi avvicinarci all’importante compito che ci attende con senso del dovere e con umiltà nella piena consapevolezza che ricostruire una città in macerie, come quella che ci hanno lasciato, non sarà certamente facile – scandiva la Sindaca nel suo discorso di insediamento – ma ce la possiamo fare. È un obiettivo che il M5S può e vuole raggiungere”. In occasione della due giorni del Movimento a Roma del 20 e 21 ottobre, la Sindaca, in linea col suo esordio, ha ieri dichiarato su Twitter: “Ci hanno lasciato una città e un paese depredati. I barbari sono loro. Noi ci prendiamo l’onore e l’onere di ricostruire dalle loro macerie. E ce li prendiamo con orgoglio. Noi non ci arrendiamo mai”. Sono passati più di due anni dall’insediamento e, chiuso il periodo di prova, particolarmente lungo per chi deve avere a che fare con la Capitale d’Italia, è arrivato il momento di tirare le somme. Diciamolo subito, senza spirito di partigianeria politica: mai come nel governo del territorio conta non tanto la bandiera di appartenenza quanto la capacità di una classe politica di governo di incidere sullo stato delle cose, di dare un segnale, di ridare speranza alla cittadinanza. Ebbene, alla domanda se dal 2016 la situazione di Roma e la vita dei cittadini siano migliorate, la risposta non può che essere negativa. Ove si pensi alla quotidianità di ciascuno di noi, abitanti della Capitale, il saldo di questi ultimi due anni è decisamente in rosso.
Il processo di inarrestabile degrado in cui è precipitata quella che nel mondo è nota come la Città Eterna non solo non si è arrestato, ma non ha dato neppure segni di un parziale rallentamento. Mai come in questi ultimi mesi è apparso evidente lo stato di abbandono in cui versa Roma. Troppo facile sparare sull’AMA e sulla raccolta rifiuti: basta farsi un giro a piedi per rimanere sconvolti dai cumuli maleodoranti di monnezza ad ogni angolo con cui piccioni, gabbiani e ratti fanno festa. Il sistema dei mezzi di trasporto pubblico arranca, sempre meno efficiente e, soprattutto, sempre più difficoltoso per i cittadini, specialmente per le categorie più fragili che si avventurano in città. Inutile spargere lacrime sullo stato del manto stradale: parlano le schiene distrutte dei centauri romani e gli ammortizzatori a pezzi delle auto in circolazione. Ha fatto ormai il suo ingresso trionfale a Roma la foresta tropicale, in questo aiutata da un clima impazzito: dove c’erano prati ora c’è un imperversare di arbusti ed erbacce ad altezza uomo di cui nessuno si cura da tempo. Insomma, la sensazione è quella di trovarci in una sorta di città di confine, dell’estrema frontiera in cui la cura dei servizi e dell’ambiente circostante è affare secondario, essendo tutti occupati nella mera sopravvivenza del giorno dopo giorno. E questo sembra si faccia oggi a Roma: sopravvivere. Sopravvivere al traffico, al rumore, ai taxi abusivi, allo scempio del bello. La Capitale d’Italia, una delle metropoli europee, la città forse più conosciuta nel mondo, simbolo dell’Italia e dello stile di vita Italiano, sede del Vaticano e riferimento per la cristianità, langue: e questo non può essere tollerato.
Ma non è tutto qui. A questo insopportabile clima di degrado si aggiunge, purtroppo, un generale imbarbarimento della vita quotidiana e delle relazioni civili. Se Roma è un museo a cielo aperto, con 20 milioni di arrivi e 40 milioni di presenze nell’ultimo anno, il turismo resta del tipo mordi e fuggi, pronto a filare via dal caos romano. Mentre il traffico veicolare strozza e avvelena tutti noi, si continua assurdamente a morire sulle strisce pedonali e in disastri dovuti alla velocità. Il diritto al riposo dei cittadini è sacrificato sull’altare della movida notturna, oramai onnipresente in ogni stagione ed in ogni zona della città, e non si contano le risse notturne finite a bottigliate ed accoltellamenti. Cinema storici, tristemente, chiudono i battenti, rimpiazzati da banche, sale bingo o negozi di paccottiglia. E, se tutt’intorno la situazione precipita, i cittadini non sembrano collaborare: stanchi e arrabbiati, sono – siamo – i perfetti testimoni della solidità della teoria delle finestre rotte, elaborata a partire dal 1969 dalla psicologia sociale americana, secondo cui il disordine urbano ha la malevola capacita di generare comportamenti antisociali da parte della collettività. Ecco, se questa è la condizione in cui versa Roma, che sembra sempre più il laboratorio del rancore sociale denunciato nell’ultimo “Rapporto sulla situazione sociale del Paese” del Censis, una classe politica di governo responsabile dovrebbe farsi quattro conti e non trincerarsi dietro a slogan e scaricabarili sul passato, ma dire, chiaro e tondo, quali siano le soluzioni concrete che vuole mettere in campo per cambiare la vita dei suoi cittadini. E, al contempo, una classe politica di opposizione dovrebbe offrire al dibattito pubblico alternative solide e di prospettiva, senza lasciarsi andare a scaramucce da bar e a lotte interne di potere. Roma – se non si fosse ancora capito – non è una città qualunque e l’improvvisazione finisce regolarmente per cozzare con la millenaria rassegnazione di chi, come diceva il Belli, sa che “l’ommini […] so’ l’istesso che vaghi de caffè ner macinino: ch’uno prima, uno doppo, e un antro appresso, tutti quanti però vanno a un distino”. Serve, per la città e per le comunità diverse che ancora si ostinano a viverci, un pensiero lungo, di prospettiva, che non si limiti all’orizzonte di una consiliatura. Che restituisca a Roma la cifra di grande capitale europea e che, allo stesso tempo, sia capace di dare testimonianza tangibile dell’impegno a favore dei cittadini. Dov’è questo pensiero?