Senza scomodare paragoni impegnativi con quello che avvenne a Parigi nel luglio del 1789 e senza voler giustificare mai qualsivoglia forma di violenza quello che sta succedendo in Francia con il movimento dei gilets jaunes che sono scesi in piazza per protestare contro l’aumento della benzina (+2,9 centesimi al litro) e del gasolio (+6,5 centesimi al litro) volute dal Presidente Macron è sicuramente da osservare con attenzione.
Il movimento dei gilet gialli – nome ispirato al giubbotto catarifrangente che ogni automobilista deve indossare quando scende dal proprio veicolo lungo una via di percorrenza – è nato in maniera spontanea sui social network per denunciare i rincari sui carburanti. Se da una parte il Presidente Macron ha inserito tali aumenti in un più ampio progetto di conversione ecologica dall’altra c’è un pezzo di Francia, che arriva sopratutto dalle zone periferiche, che accusa il Presidente di non curarsi di loro che faticano, sempre più, ad arrivare alla fine del mese.
Una nebulosa, quella dei gilet gialli, che non risponde direttamente a sindacati o partiti politici e che non ha un leader ma che partendo da internet ha bloccato la Francia. Diversi commentatori politici si interrogano già sul futuro del movimento che rilancia la mobilitazione. Eric Drouet autista di Melun cittadina a 40km dalla capitale, in prima linea nella protesta, da appuntamento a tutti i gilet gialli il prossimo 24 novembre in place de la Concorde, la più grande piazza francese, per portare tutta la Francia a Parigi.
Un malcontento, quello di chi fatica ad arrivare a fine mese, comune in molti stati europei. Storicamente sono stati sempre i partiti di sinistra a dare voce a chi faticava di più e chiedeva maggiori tutele. Oggi assistiamo da una parte ad un crescere delle proteste da parte di chi ha visto diminuire il proprio potere d’acquisto e contestualmente al crollo dei consensi delle forze socialdemocratiche, proprio in Francia il Parti Socialiste alle ultime elezioni presidenziali è crollato al 6%, non se la passa meglio il Partito Socialdemocratico tedesco (SPD) sotto il 10% o il Partito Democratico in Italia fermo a quel 18% raccolto il 4 marzo 2018.
L’italiano fa casino durante il minuto di silenzio
E poi sta in silenzio per anni quando dovrebbe fare casino
L’italiano per protestare in piazza aspetta che ci sia il sole
Il bollettino meteo guiderà la rivoluzione
(Fedez, Pop-Hoolista)
In Italia i gilet gialli siamo noi, la generazione 29-49 anni, troppo vecchi per essere giovani e troppo giovani per essere vecchi quindi per rientrare nelle due categorie alle quali si rivolge, con maggiore attenzione, la politica di casa nostra.
Dopo la crisi economica del 2008 decine di migliaia di giovani sono rimasti disoccupati o precari mentre si sono susseguite discussioni senza fine, soluzioni poco efficaci o inesistenti, con uno Stato incapace di invertire la rotta e garantire un’esistenza dignitosa e un futuro certo alle nuove generazioni.
Ma la sfida della nostra generazione non riguarda solo noi, anche se possiamo dire che è stato un errore non sindacalizzare la questione giovanile, ma il futuro stesso del nostro Paese. Infatti la mancata valorizzazione della generazione 30-40 sta lentamente condannando l’Italia a un declino sociale ed economico sempre più evidente, non solo nel settore pubblico dove l’età media è sempre più alta e l’arretratezza sempre più evidente, ma anche nel settore privato, fatto di piccole e medie imprese, che fra mille problematiche arrancano nell’epoca della globalizzazione.
Una questione generazionale che ci vede – come il titolo dell’ultimo libro di Tommaso Labate – rassegnati, tutti col numero dieci sulla schiena (perché inutile girarci attorno siamo le eterne promesse a cui non hanno mai concesso di giocare una partita) e poi sbagliamo i rigori come Roberto Baggio a Pasadena, Los Angeles, ai mondiali del 1994 come se quel frame di quel pallone che vola alto sopra la traversa avesse messo in pausa tutto facendoci passare da Kelly, la bionda di Beverly Hills 90210, a Luigi Di Maio.
In tv sono tornati il Maurizio Costanzo Show, Portobello, la tv delle ragazze insomma in assenza di idee nuove si ripesca dagli anni 80 e Salvini e Di Maio, i due vicepremier, nonostante si siano auto proclamati “Governo del cambiamento” hanno attinto a piene mani dalla Prima Repubblica ripristianando le politiche di spesa da pentapartito con soldi presi a debito per spendere ben oltre quello che potremmo permetterci per garantire i soliti garantiti. Una strana coalzione “milgiori anni” che governa con un contratto (come Berlusconi con il famso contratto con gli italiani da Vespa) e che punta sulla nostalgia degli anni passati, anni che hanno regalato sogni, speranze, spensieratezza, talvolta illusioni e che hanno prodotto l’attuale gap di arretratezza e conti in disordine che siamo costretti a pagare.
Quanto sta facendo il governo Salvimaio – nella nostra totale indifferenza – è molto peggio delle misure di Marcon per le quali sono scese in piazza circa 300mila persone. E pensare che nonstante le dichiarazione del leader della Lega Salvini in campagna elettorale sul taglio alle accise sui carburanti in Italia un pieno ci costa 9 euro in più dei francesi, ma ce ne stiamo comodamente sul divano ad aspettare un reddito di cittadinanza che non arriverà e a fare la rivoluzione su internet tanto la connessione ad internet la pagano mamma e papà.