Stan Lee, the Man, se ne è andato. Il Creatore dell’universo fumettistico della Marvel Comics, che ha dato vita all’Uomo Ragno (sì, si chiamava così quando arrivò in Italia nel 1970) e ad una messe sterminata di personaggi, è morto a quasi 96 anni suonati. Entra a pieno titolo nel Pantheon del fumetto, assieme ai mostri sacri: Lee Falk, Carl Barks, Wilson McCoy, Hergé, Schulz, Bonelli (Sr e Jr), Will Eisner solo per citarne alcuni. Senza tralasciare Jack Kirby e Steve Ditko, artisti potenti e insuperabili, co-creatori con lui di personaggi celeberrimi, al netto delle diatribe sul chi creasse cosa e quanto. Non ci sono sufficienti parole per descrivere cosa Stan Lee abbia significato per milioni di ragazzi in tutto il mondo. Quanto potessero essere prodigiose le sue storie di vita quotidiana, di fantascienza, di magia. Quanto fosse facile identificarsi con i nuovi supereroi con super problemi, che all’inizio degli anni ’60 del secolo scorso portarono una ventata di novità – una vera e propria rivoluzione, sarebbe meglio dire – nell’editoria di settore, surclassando gli eroi della DC Comics, la Distinta Concorrenza, come si usava dire allora. Difficile spiegare come sia nitido il ricordo, per un vecchio nerd incallito, dell’odore di quelle pagine dei fumetti dell’Editoriale Corno, prima a colori e in bianco e nero, poi finalmente tutte a colori. O riuscire a rendere comprensibile ai lettori di oggi (sempre di meno, purtroppo) come la Casa delle Idee riuscisse a trasmettere l’elettrizzante fascino di un mondo lontano, gli Stati Uniti d’America, i cui grattacieli, anche grazie a quei fumetti, abbiamo imparato a (ri)conoscere come le strade sotto casa. Scazzottate, certo: assieme a tanto, tantissimo altro, infilato in un racconto tenuto sotto spandex ma ricolmo di umanità. Molti dei ragazzi che oggi leggono storie Marvel conoscono Stan Lee come il papà dei personaggi del grande schermo, ormai popolarissimi in tutto il mondo. Quel vecchietto baffuto che regolarmente, in ogni film, faceva capolino con un cameo che mandava in visibilio i vecchi lettori, che si davano di gomito. Eppure mai nessun film, nessun blockbuster, nessuna mega produzione potrà mai eguagliare la fisicità disperata dell’Uomo Ragno (sì, l’Uomo Ragno) che solleva un enorme blocco di macerie, lo stupore nel vedere i Fantastici 4 gettarsi senza paura in una misteriosa e terrificante Zona Negativa, Capitan America buttarsi nella mischia solo col suo corpo ed il suo scudo, la vista spettacolare di una Asgard kyrbiana su cui atterra il Dio del Tuono. A naso, un tesoretto di qualche centinaia di storie che rappresentano ancor oggi, a distanza di decine d’anni, un esercizio di stile, di classe, di fuochi d’artificio. Anche di ingenuità, non c’è dubbio: Stan Lee era un figlio dei suoi tempi e, anzi, pochi come lui hanno saputo interpretarne lo spirito attraverso il fumetto. Un fumetto seriale, popolare. Improvvisato persino. Su carta pessima. Ma ribollente, numero dopo numero, di invenzioni, di dinamicità, di pathos. Un’atmosfera tuttora insuperata, che non aveva bisogno di edizioni speciali o copertine in rilievo per far vendere di più. Semplicemente, riusciva a far crescere, albo dopo albo, un universo narrativo coerente in cui far interagire i suoi personaggi: i quali vivevano vicende, spesso drammatiche, in cui i lettori potevano, tutto sommato, riconoscersi. Scorreranno ora fiumi d’inchiostro e abbonderanno i servizi televisivi in cui Stanley Martin Lieber verrà ricordato: pochi sapranno davvero di cosa stanno scrivendo o parlando, pochissimi avranno provato la sensazione di tuffarsi nelle storie Marvel gettati sul letto o stesi su un prato. Restano senza risposte domande fondamentali come, su tutte, se sia più forte Hulk o la Cosa. Ma resterà la magia. E resterà certamente per chi si è sentito, si sente e sempre si sentirà un true believer. So long, Stan. Excelsior!
12 Novembre 2018