il SocialistaA Natale siamo tutti più buoni?

Nel 1992 sulla musica di “More than Words” ballatone pop dalla band hard rock statunitense Extreme Luca Carboni e Lorenzo Jovanotti scrissero un pezzo buono per il loro tour invernale, una canzo...

Nel 1992 sulla musica di “More than Words” ballatone pop dalla band hard rock statunitense Extreme Luca Carboni e Lorenzo Jovanotti scrissero un pezzo buono per il loro tour invernale, una canzone natalizia, che contiene una verità sempre attuale “o è Natale tutti i giorni o non è Natale mai”.

Se pensiamo al Natale non possiamo non pensare subito alla tradizione cristiana nella quale il 25 dicembre si celebra la nascita di Gesù a Betlemme e parliamo quindi di una festività prevalentemente religiosa che comincia con i primi vespri del 24 dicembre per terminare con la domenica del Battesimo di Gesù nella prima metà di gennaio. Un momento intimo, da vivere nella pienezza della Fede, per un Dio – quello dei cristiani – che con l’avvento di Gesù non è più distante ma che “scende” addirittura in mezzo agli uomini.

Se diamo uno sguardo al nostro mondo di oggi nel XXI secolo notiamo come oramai Il Natale non appartenga più solo alla comunità cristiana, ma a tutti, in quanto è diventata una festa diffusa in tutti i continenti e che ha assunto un significato universale e allo stesso tempo trasversale.

Merito di uno scrittore e del marketing moderno. Il primo, Charles Dickens, nel 1843 con il suo “A Christmas Carol” (Canto di Natale) fece riscoprire una passione collettiva per il Natale e per alcune tradizioni che nell’ austera e piena di problemi sociali Inghilterra vittoriana si erano perse come quello di scambiarsi dei regali (tradizionalmente gli inglesi lo facevano il 1 gennaio) o di mettere in tavola un pranzo succulento.

Al resto ci ha pensato il marketing. Prendiamo uno dei simboli del Natale di oggi, Babbo Natale, deve la sua immagine (cappotto rosso compreso) ad un pubblicitario, tale Archie Lee dell’agenzia D’Arcy Adversting Agency, che nel 1931 realizzò per un importante cliente, la Coca Cola, una campagna pubblicitaria con protagonista un Babbo Natale florido, realistico e simbolico allo stesso tempo. A disegnarlo Haddon Sundblom che si ispirò alla poesia di Clement Clark More del 1822 “Twas the Night Before Christmas”. Insomma la trovata di un pubblicitario sarebbe poi diventata l’immagine stessa e universalmente riconosciuta di un’icona.

La festa della luce che diventa la festa delle luci, sempre più scintillanti, sempre più abbaglianti, con quei grandi magazzini, cattedrali del consumismo globale, che entrano nelle case di ognuno di noi attraverso i blockbuster americani come “Miracolo nella 34ª strada” dove tutta la vicenda ruota attorno ai grandi magazzini Cole (ispirati a Macy’s). Il dono come gesto di felicità che diventa corsa al regalo o nell’accezione più negativa all’acquisto. La veglia di Natale, quel momento di attesa che anno dopo anno rende omaggio al cantico gioioso degli angeli, che nel cuore della notte, annunzieranno ai pastori l’evento straordinario della nascita del Redentore, invitandoli a recarsi nella grotta di Betlemme che diventa, per molti, un Capodanno anticipato fatto di cocktail e feste tutta la notte.

Quello appena passato è stato un Natale di polemiche, da una parte la politica muscolare che giustifica atti di disumanità sotto la parola “sicurezza” e dall’altra la Chiesa Cattolica a richiamare con forza (finalmente) la natività non come terreno di scontro politico ma come l’incontro tra noi e un neonato che vagisce in una misera grotta. Gesù come i tanti bambini che ancora oggi, in molte regioni del mondo, vengono alla luce in una grande povertà, come i neonati non accolti e rifiutati, quelli che non riescono a sopravvivere per carenza di cure e di attenzioni.

Quello appena passato è stato un Natale di polemiche, da una parte la politica muscolare che giustifica atti di disumanità sotto la parola “sicurezza” e dall’altra la Chiesa Cattolica a richiamare con forza (finalmente) la natività non come terreno di scontro politico ma come l’incontro tra noi e un neonato che vagisce in una misera grotta. Gesù come i tanti bambini che ancora oggi, in molte regioni del mondo, vengono alla luce in una grande povertà, come i neonati non accolti e rifiutati, quelli che non riescono a sopravvivere per carenza di cure e di attenzioni.

Natale al tempo della velocità, del tutto e subito, dei like sui social network, del benessere diffuso deve essere il tempo del senso, il “Senso eterno” del mondo si è fatto tangibile ai nostri sensi e alla nostra intelligenza: ora possiamo toccarlo e contemplarlo come dice Giovanni nel suo Vangelo.

E così il Natale, oggi come ieri, è un tempo utile a riscoprire il calore della semplicità, dell’amicizia e della solidarietà in un tempo dove la corsa a riempirsi di cose è diventata frenetica. Non credo ci sia una regola che possa valere per tutti, non credo allo spirito contagioso del Natale, ma penso e spero che questi giorni di festa possano permettere ad ognuno di essere quello che è. Perché se da una parte Scrooge (il protagonista del capolavoro di Dickens) cambia dopo la visita degli spiriti lo fa perché infondo è un uomo buono, se c’è chi si attacca al presepe chiedendone uno in ogni scuola e in ogni casa lo fa perché per qualche voto in più farebbe di tutto, anche annegare dei bambini in mare, se il Presidente degli Stati Uniti dice ad un bambino di 7 anni di non credere a Babbo Natale rivela in quella telefonata il suo animo, e quel senso di cui parla l’evangelista Giovanni altro non è che quello di cui siamo fatti e per dirla alla Ivan Benassi, alias Freccia, in quel meraviglioso monologo alla radio scritto da Ligabue e interpretato da Stefano Accorsi da te non ci scappi nemmeno se sei Eddie Merckx, permetteremi di aggiungere, nemmeno a Natale.

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