San Paolo incarna in modo emblematico l’immagine di un uomo che ha sofferto la tensione fra la prima e la seconda vita. Un po’ come Agostino e Francesco d’Assisi, il primo teologo della cristianità esce dal grigio di una storia e ne avvia un’altra all’insegna del rischio e dell’amore. Sembra il destino dei «Santi imperfetti», di chi ha calpestato la notte o l’ultima terra per poi risalire con l’ausilio paziente del Padre.
La caduta da cavallo, sulla via di Damasco, dovrebbe quindi segnare la sconfitta di una legge giudaica osannata da un cuore indurito, quello del vecchio Saulo, e il trionfo di un brivido che guarda con occhi rinnovati l’«ora nona», il grido della croce, l’insolita finitudine dell’infinito. Insomma, Paolo di Tarso avrebbe superato dentro di sé la Legge depositata nell’antico Testamento con l’intento di vivere finalmente la seconda vita in Cristo. Se diamo una sfogliata alle sue Lettere non mancano peraltro passaggi abbastanza espliciti ed eloquenti, in cui è possibile osservare il diniego della Legge di Mosè e l’adesione al soffio dello Spirito, quel soffio che scavalca regolamenti e prescrizioni e insegue soltanto la purezza, il paradosso, lo scandalo che ospita il corpo e il sangue del Figlio dell’uomo.
Non è di questo avviso Luca Bagetto, autore di un bel libro (San Paolo, Feltrinelli 2018, pp. 174), secondo cui Paolo rivendica l’interruzione o la discontinuità, ma non l’abolizione della Legge. Egli rispetterebbe l’istituzione e non intende cancellare il passato, né quel primo appuntamento inaugurato misteriosamente tra il Signore dell’Universo e il padre della fede. L’occidente, però, non avrebbe accolto lo spirito paolino e si sarebbe addormentato sulla proposta gnostica avanzata nel II sec. da Marcione, e ripresa in chiave teorico-politica dal protestantesimo liberale, da Kant, dal marxismo e da quelle offerte contemporanee sempre più avvezze a un ideale pigro, rassicurante e moralistico. Per converso, il trauma della caduta, le lunghe peripezie di Abramo e l’esodo avviano tormenti, abbandoni e mancanze. Si tratta di un’incertezza e di un’eccezionalità che spezzano la falsa normalità di un precetto, ma rinvigoriscono con nuovi accenti la vecchia alleanza. Gesù stesso è figlio della Legge, figlio del suo tempo, figlio di una storia che dovrebbe avanzare con una irripetibile trasgressione protetta pur sempre dall’ordine giuridico.
Questa tesi, bene argomentata e a tratti stuzzicante, mi lascia tuttavia un po’ perplesso. L’autore scrive, infatti, che il Cristo di Paolo tende a premiare il nostro amore per il mondo anziché il desiderio di cambiarlo. Ma cosa significa amare il mondo?
Io credo, al pari dell’evangelista Giovanni, che Gesù abbia vinto il mondo. Forse andrebbe amato quel grido che accende l’ansia dell’altrove, e che permette di stringere al petto la persona da liberare in Cristo. Non dimentichiamo che Cristo si ritrova nel mondo ma non è del mondo. Il Messia si radica in una fervida tensione fra la terra e il cielo e soprattutto invita ciascuno di noi a imitarlo. Ci invita, dunque, ad abitare la terra con il cuore della trascendenza e ci esorta ad amare persino i nostri nemici. Non significa naturalmente che un cristiano o chi si ispira a Paolo debba prescindere dalla vecchia alleanza, dalle prime rivelazioni di Dio, dall’attualizzazione dell’esodo e dai primi esperimenti che in ogni caso mettono un prezioso sigillo a proposito della sfida problematica tra il bene e il male. Ecco perché, a mio parere, è errata la strategia di un teologo come Marcione; ma l’evento pasquale ha crocifisso la fredda cornice normativa introducendo il sentire. La Legge, del resto, è un atto preliminare al brivido della verità. Ora che la verità si conosce, andrebbe vissuta con lo sguardo oblativo e con i motivi paolini della kenosi senza perder tempo con le capriole di un uomo vecchio inchiodato nel carcere della regola.
Gesù è sceso per creare disordine con un sorriso ambientato nell’eterno. Non può amare quel che accade adesso (il mondo del qui), e non può assecondare quei paragrafi che urlano silenziose vendette entro le dinamiche di una rigida conservazione. Se la prostituta, il drogato, il rifugiato, il depresso, il nuovo lebbroso, il disoccupato vengono continuamente colpiti con le pietre dell’indifferenza o con il distacco della Legge, Lui abbraccia in corsa i loro pianti e così, insieme al tredicesimo apostolo, vince il buio per sempre.