Passione e Competenza per un\'Italia miglioreL’Europa deve essere la leva del cambiamento

Nel nuovo ciclo politico che si sta aprendo, ci sono segnali positivi per una forte spinta europea verso l’economia circolare e la lotta al cambiamento climatico. Ma tutto dipende dalla volontà deg...

Nel nuovo ciclo politico che si sta aprendo, ci sono segnali positivi per una forte spinta europea verso l’economia circolare e la lotta al cambiamento climatico. Ma tutto dipende dalla volontà degli Stati nazionali.

Il terzo Festival dello sviluppo sostenibile si aprirà il 21 maggio di quest’anno con un convegno internazionale sul tema “Per un’Europa campionessa mondiale di sviluppo sostenibile”. Come si spiega nell’invito LINK diffuso nei giorni scorsi

Il 2019 vedrà l’inizio di un nuovo ciclo politico per il nostro continente, caratterizzato dalle elezioni del Parlamento europeo, la nomina della nuova Commissione europea e del presidente della Banca centrale europea. L’Unione europea, così come il resto del mondo, si trova di fronte a enormi sfide economiche, sociali, ambientali e istituzionali. La nuova legislatura europea avrà quindi il compito di attuare politiche credibili ed efficaci per migliorare la qualità di vita dei cittadini e contribuire a un futuro pacifico e prosperoso sul nostro pianeta.

C’è davvero molto da fare. I risultati del consiglio europeo del 21 e 22 marzo sono stati definiti “assolutamente insufficienti” dal presidente francese Emmanuel Macron, con valide ragioni. Come spiega Lorenzo Consoli in un editoriale su EuNews

Le conclusioni contengono una conferma degli impegni già presi dall’Ue e dagli Stati membri nell’ambito dell’Accordo di Parigi del dicembre 2015 e il riconoscimento della necessità di aumentare l’ambizione delle misure contro il riscaldamento globale. (…) Ma queste sono parole. Nei fatti, il vertice Ue non è riuscito a mettere tutti i leader d’accordo sul sostegno alla strategia di lungo termine proposta recentemente dalla Commissione europea, che prevede di raggiungere la cosiddetta “decarbonizzazione” (“carbon neutrality”) per tutta l’Ue entro il 2050: ovvero un’economia in cui le emissioni climalteranti residue, dopo le riduzioni massicce programmate negli anni precedenti, saranno pienamente compensate e quindi “neutralizzate” da bacini di assorbimento (“carbon sink”), foreste e parchi urbani.

Mercoledì 27 al Parlamento europeo il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha cercato di “metterci una pezza”, annunciando che

i capi di stato e di governo dell’Ue sono determinati ad affrontare il cambiamento climatico. Nonostante le differenze è ora chiaro quanto il tema sia urgente, e i leader dell’Unione torneranno sulla questione a giugno.

Ma quali saranno gli equilibri europei in giugno, dopo le prossime elezioni e superato, chissà come, l’intoppo della Brexit? È assolutamente necessario intensificare gli sforzi, qui ed ora, perché lo sviluppo sostenibile diventi il pilastro delle future politiche dell’Unione. Le buone intenzioni non mancano. Il ministro delle finanze finlandese, Petteri Orpo, ha twittato che Il Multiannual financial framework, cioè il budget a lungo termine dell’Unione, deve essere costruito guardando alla sostenibilità. Ma non mancano neppure gli ostacoli, anche nei Paesi più importanti. Una nota di Francesco Russo dell’Agenzia Italia, in merito agli esiti del Consiglio europeo della settimana scorsa, segnala che

le nazioni dell’ex cortina di ferro si oppongono a un target troppo ambizioso per economie ancora così dipendenti dalle fonti fossili, a partire dal carbone, che in Polonia, per citare l’esempio più clamoroso, contribuisce all’80% della produzione elettrica. La notizia è che la Germania, a quanto risulta da documenti riservati pubblicati da Euractiv, ha deciso di schierarsi con Varsavia, Budapest e Praga, una posizione destinata a condurla a uno scontro con la Francia, che guida invece il fronte “verde” insieme al Benelux e ai Paesi iberici e scandinavi. Le ragioni di tale orientamento sono semplici da spiegare. Nonostante i forti investimenti in energie rinnovabili, la colossale macchina industriale teutonica è ancora troppo dipendente dal carbone, seppure sia nei programmi del governo abbandonarlo entro il 2038. Il motivo è il repentino abbandono del nucleare, deciso sulla scia dell’incidente della centrale di Fukushima. Il risultato? La Germania e la Polonia insieme sono responsabili del 50% delle emissioni di anidride carbonica dell’Unione Europea.

È davvero possibile arrivare a una totale decarbonizzazione dell’Europa entro il 2050? Come indicato in una nota dell’agenzia Askanews, secondo la “Visione strategica di lungo termine” pubblicata il 28 novembre 2018, che è appunto il documento nel quale si fissa l’obiettivo di “zero emissioni nette” di carbonio nel 2050, un tale obiettivo comporta un investimento aggiuntivo nel sistema energetico fra il 2030 e il 2050 compreso tra i 175 e i 290 miliardi di euro all’anno, rispetto ai 400 attualmente investiti (circa il 50% in più).

Attenzione però, non si tratta di spese a fondo perduto, ma di investimenti, destinati cioè a produrre ricchezza, con un aumento del Pil e dell’occupazione. Un precedente documento della Commissione europea già stimava che l’obiettivo di ridurre le emissioni del 40% entro il 2030 (obiettivo che successivamente è stato reso più stringente) comportava un impegno di 177 miliardi di euro all’anno, a partire dal 2021 e fino al 2030, il che avrebbe comportato un aumento del Pil dell’1% nel prossimo decennio e la creazione di 900mila nuovi posti di lavoro.

Va aggiunto che una rapida trasformazione verso l’economia circolare e cambiamenti nei comportamenti possono provocare risparmi significativi in termini di spese sanitarie. Oggi l’inquinamento atmosferico nell’Ue causa gravi malattie e quasi mezzo milione di morti premature all’anno. Continua la nota Askanews:

La transizione entro il 2050 a un’economia a zero emissioni nette di gas a effetto serra, insieme all’attuazione delle misure esistenti in materia di inquinamento atmosferico, ridurrà ogni anno di oltre il 40% le morti premature causate dal particolato fine e di circa 200 miliardi di euro i danni per la salute, sottolinea la Commissione.

Altri risparmi possono derivare dalla riduzione dei fenomeni meteorologici estremi e degli altri effetti del cambiamento climatico, come le minacce alle zone costiere per l’aumento dei mari.

Chi deve finanziare questi investimenti? Per la Commissione, “la maggior parte degli investimenti sarà a carico delle imprese private e delle famiglie”.

Per stimolare gli investimenti privati, secondo Bruxelles è essenziale che l’Unione europea e gli Stati membri inviino segnali chiari e a lungo termine che orientino gli investitori verso l’innovazione pulita nel modo più produttivo, offrendo una visione che indicherà dove far confluire i flussi finanziari e di capitale.

Anche l’attuale Parlamento europeo si è schierato per un aumento dei fondi per la sostenibilità. Come ricorda l’ultima newsletter della FeBaF, la Federazione di banche, assicurazioni e finanza, il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, ospitando il 19 marzo a Bruxelles una conferenza sul futuro degli oceani ha chiesto che

almeno il 30% di tutte le azioni previste nel prossimo bilancio dell’Unione 2021-2027, e il 35% del nuovo programma Orizzonte Europa vadano a sostegno della sostenibilità”. In tema di economia circolare, il Parlamento ha varato un pacchetto incentivando il riciclo ed il riutilizzo dei rifiuti. “Il nostro obiettivo – ha detto il numero uno dell’Europarlamento – è riciclare almeno un milione di tonnellate di plastica. In termini ambientali ciò equivarrebbe a togliere ben un milione di auto dalle strade”.

Mercoledì 27, ormai al termine dei suoi lavori, il Parlamento di Strasburgo ha adottato diverse decisioni significative:

In conclusione, i progetti ci sono e c’è anche una diffusa volontà di promuovere i capisaldi di una politica nuova, basata sull’economia circolare e sulla lotta al cambiamento climatico e all’inquinamento da plastiche. Manca però un diffuso consenso dei governi nazionali per rendere davvero l’Europa protagonista dello sviluppo sostenibile. Molto a questo punto dipende dal ruolo che potranno avere le istituzioni europee: se saranno solo al seguito degli Stati, il progresso sarò troppo lento per essere efficace. Se, invece, come delineato nel primo scenario proposto dalla Commissione nel documento di fine gennaio, gli equilibri politici consentiranno di dare alle istituzioni europee poteri più stringenti rispetto agli Stati, forse sarà davvero possibile compiere un passo avanti significativo verso la piena attuazione dell’Agenda 2030.

a cura di Donato Speroni, Responsabile della Redazione dell’ASviS

X