Passione e Competenza per un\'Italia miglioreGrandi difficoltà, ma anche segnali di cambiamento

È facile parlar male dell’Onu, ignorando il grande lavoro che svolge e che viene ignorato dai media. Si deve invece guardare ai tanti episodi che indicano un diverso approccio al futuro, anche in I...

È facile parlar male dell’Onu, ignorando il grande lavoro che svolge e che viene ignorato dai media. Si deve invece guardare ai tanti episodi che indicano un diverso approccio al futuro, anche in Italia.

Ci sono tante ragioni per parlar male dell’Onu. Per esempio, Pierluigi Battista sul Corriere della Sera prende spunto dalla nomina di un magistrato iraniano in una commissione internazionale che si deve occupare della questione femminile per denunciare

l’inutilità dell’Onu, un organismo internazionale nato per la difesa dei diritti umani e che invece è diventato nel tempo il piedistallo, o forse è meglio dire lo zerbino, dei regimi che dei diritti umani fanno strage continua.

Difficile dargli torto: quel magistrato è lo stesso che ha inflitto a Nasrin Sotoudeh, avvocato e militante dei diritti civili, la pena di trentotto anni di prigione e di centoquarantotto frustate. E si potrebbe continuare, denunciando gli apparati farraginosi del Palazzo di vetro, le missioni fallite, l’incapacità di affrontare le più scottanti crisi internazionali.

L’Onu è come un condominio: la qualità dei suoi lavori dipende dalla qualità dei condòmini, ma il suo ruolo è indispensabile per arrivare a decisioni collettive. L’alternativa al multilateralismo, di cui l’Onu è la massima espressione, è una rete di rapporti bilaterali, che finiscono col lasciare indietro i Paesi più deboli.

Prendiamo come esempio l’Agenda 2030, l’impegno sottoscritto dai 193 Paesi che ne fanno parte. Da quando fu firmato due anni fa, i rovesci non sono mancati, perché alcuni Paesi, a cominciare dagli Stati Uniti, hanno preferito ritirarsi dagli impegni sul clima sottoscritti a Parigi, che fanno parte dell’Agenda, e su molti degli obiettivi quantificati al 2030 o addirittura al 2020 il mondo è in preoccupante ritardo.

Alle Nazioni unite, però, si continua pazientemente a riannodare i fili spezzati. Quest’anno, oltre all’High level political forum, la riunione annuale di verifica sugli SDGs che come di consueto si terrà in luglio, per la prima volta dall’adozione dell’Agenda, il 24 e 25 settembre i capi di stato e di governo si riuniranno per l’SDG Summit, una revisione generale sull’andamento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile, secondo un impegno che deve rinnovarsi ogni quattro anni.

Subito dopo, il 23 settembre, il segretario generale dell’Onu António Guterres ha convocato il 2019 Climate Action Summit, una riunione al massimo livello che deve affrontare la sfida sul clima.

Il summit deve dimostrare un balzo delle ambizioni politiche nazionali collettive e metterà in luce i grandi movimenti che si riscontrano dell’economia reale a supporto dell’Agenda 2030. Nel loro insieme questi sviluppi manderanno forti segnali politici e di mercato e daranno maggiore forza alla gara fra i Paesi, le imprese, le città e organizzazioni della società civile necessaria per raggiungere gli obiettivi di Parigi e gli SDGs.

L’altra ragione per appoggiare l’azione dell’Onu è il lavoro oscuro delle diplomazie nelle sue cento sedi di incontro, su temi limitati e specifici. Prendiamo come esempio due avvenimenti che si sono conclusi nei giorni scorsi, che riassumiamo sulla base delle preziose cronache di Iisd reporting services. A Montevideo, dall’1 al 4 aprile, si è tenuta la

terza riunione dell’Open-ended Working Group (Oewg3) della International Conference on Chemicals Management (Iccm), che ha verificato progressi nel programma di Strategic Approach to International Chemicals Management (Saicm) verso l’obiettivo globale di definire entro il 2020 degli standard nella produzione e nell’uso dei prodotti chimici tali da minimizzare gli effetti negativi sulla salute e sull’ambente.

A New York, dal 25 marzo al 5 aprile, si è tenuta la seconda sessione della

Intergovernmental conference per la definizione di uno strumento internazionale legalmente vincolante nell’ambito della Convenzione Onu sulla Legge del mare e la conservazione e l’uso sostenibile della biodiversità marina nelle aree al di fuori della giurisdizione nazionale.

Per la cronaca, mentre il primo incontro ha fatto segnare dei progressi, il secondo si è bloccato nel contrasto tra i governi che reclamano la piena libertà di usare le risorse genetiche provenienti dagli oceani e quelli che invece vogliono regolamentare questi usi, considerando queste risorse un bene comune di tutta l’umanità. Non c’è comunque da stupirsi che tutto questo complicato lavoro, di cui questi incontri sono solo un esempio, non risulti mai nelle cronache, se non quando finalmente arriva a conclusioni significative. Certamente si tratta di un lavoro molto lento, ma sarebbe ingiusto attribuire la responsabilità di questa lentezza alle burocrazie internazionali, perché la velocità dei negoziati dipende esclusivamente dai governi

C’è poi da mettere sul piatto della bilancia positivo per l’Onu tutto il lavoro fatto sul campo. Per avere un’idea della sua ampiezza basta andare sul sito dell’Unhcr, l’agenzia che assiste i rifugiati. O verificare l’impegno della Organizzazione mondiale della sanità per lottare contro il virus Ebola, una malattia mortale che a noi sembra lontana ma che è riesplosa in Congo costringendo gli operatori sanitari a fare innanzitutto opera di convinzione nei villaggi che per ignoranza non li vogliono neppure far entrare.

C’è poi ancora una ragione importante per appoggiare l’impegno dell’Onu: la sua esistenza rappresenta una grande speranza per un futuro basato sul consenso internazionale. L’8 e il 9 aprile, tremila giovani hanno affollato il salone dell’Assemblea generale dell’Onu per l’8° Ecosoc Youth Forum, simulando il funzionamento del grande consesso internazionale. Il portavoce dell’ASviS Enrico Giovannini, che ha partecipato all’incontro, lo ha definito “un segnale che può influenzare il nostri futuro” nella sua rubrica su Radio radicale. Un segnale “debole”, ma che sommato a tanti altri può farci sperare che il mondo (e l’Italia) stia effettivamente cambiando strada.

Giovannini nella sua trasmissione ha parlato anche di altri segnali: i progetti di innovazione legati alla sostenibilità che sono stati presentati all’Innovation village di Napolie e anche le mozioni sullo sviluppo sostenibile presentate alla Camera dei deputati e in parte accolte dal Governo.

Possiamo ancora aggiungere i documenti dell’European Strategy Centre (che pubblichiamo sul nostro sito) , nei quali si chiede di mettere gli SDGs al centro delle politiche europee e il lancio della proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare presentata da Andrea Mazziotti per mettere il principio dello sviluppo sostenibile in Costituzione, già annunciata da tempo e che adesso diventa operativa con il deposito della proposta presso la Corte di cassazione. E si potrebbe continuare con la grande mobilitazione che si prepara per la prossima settimana per l’arrivo di Greta Thunberg a Roma e anche le prospettive positive del nostro Festival dello Sviluppo sostenibile, al quale ormai manca poco più di un mese. Tutti segnali che indicano una spinta verso una politica nuova, una politica che ha bisogno di istituzioni internazionali, europee e nazionali, in grado di accoglierla.

Ne aggiungiamo ancora uno, con la frase detta da Simone, l’adolescente di Torre Maura, criticando la mobilitazione contro i rom: “Secondo me nessuno deve essere lasciato indietro, né italiano, né rom, né africano”. Nessuno deve essere lasciato indietro”: la stessa frase contenuta nel preambolo dell’Agenda 2030.

a cura di Donato Speroni, Responsabile della Redazione dell’ASviS