Il 3 luglio, in Italia, è successo un gran casino. Certo, non è stato un dramma per tutti visto che non tutti sono “assuefatti dai social network” ma per gran parte degli internauti italiani è stata una specie di apocalisse. WhatsApp, Instagram e Facebook hanno smesso di funzionare dalle ore 16:00. Ben oltre le sei ore successive alle segnalazioni degli utenti, il problema non si era ancora risolto.
Il problema riguardava soltanto i contenuti multimediali e non l’intero funzionamento dell’app. Su WhatsApp non si scaricavano le immagini, i video e le note vocali ricevute dai propri amici, mentre su Facebook e Instagram non si vedevano le foto pubblicate dai tutti gli altri account: non una cosetta da poco se pensiamo che Instagram è costruito sulle foto. Non è stata la prima volta che l’intera infrastruttura di Facebook sia andata down per qualche disservizio. Qualcosa di simile successe nel mese di marzo 2019 e il down era andato avanti per almeno un paio di ore, stessa cosa per il mese di Aprile in cui il mancato funzionamento durò ben 14 ore.
La riflessione da fare è immediata: immaginate il panico degli utenti che passano l’intera giornata a scorrere bacheche e newsfeed.
A tal proposito ho fatto qualche ricerca e ho potuto evincere che esistono degli antidoti a questo panico ingiustificato, qualcosa che possa liberare gli utenti più “affezionati ai social” dal timore che sia la propria connessione a non funzionare come si deve ma l’intero sistema. Di qualsiasi sistema digitale si parli, ci viene in aiuto il tool Down Radar di assistenza-clienti.it, basta andare su https://www.assistenza-clienti.it/down-radar/ ed il gioco è fatto: si cerca il servizio che stia creando qualche problema e si riscontra se ci siano o meno problemi di connettività globale alla piattaforma.
Facciamo però un passo indietro.
Come è possibile che WhatsApp, Instagram e Facebook non funzionino?
I problemi possono ovviamente essere diversi di volta in volta ma quello che avrebbe più volte causato problemi all’azienda di Menlo Park sarebbe un problema infrastrutturale, ossia di gestione delle macchine che materialmente tengono online il tutto: non si tratterebbe dunque di una problematica “lato codice”.
È tuttavia molto difficile risalire alle motivazioni ufficiali poiché l’azienda è sempre molto restia a giustificare queste evenienze e preferisce il silenzio che non di rado viene perpetrato dai propri portavoce.
A tal proposito una delle aziende più “sincere” del settore è Cloudflare, il cui uptime è probabilmente stimato tra i migliori del web in assoluto: beh, quando Cloudflare è offline non stenta a dare spiegazioni ai propri clienti anche perché un suo stato di down corrisponde a un down del 30% dei siti all around the world.