E(li's)booksArruina di Francesco Iannone. Recensione

“«Nascerà una bambina, e avrà il tuo sangue, e il tuo sangue ti giudicherà. Lo dice il vento che nascerà, lo dicono le voci di tutte le donne gravide nei letti. La tua bambina nascerà e con lei nas...

“«Nascerà una bambina, e avrà il tuo sangue, e il tuo sangue ti giudicherà. Lo dice il vento che nascerà, lo dicono le voci di tutte le donne gravide nei letti. La tua bambina nascerà e con lei nasceranno altri bambini. E le loro madri soffriranno molto, e le sentirai sgravidare in solitudine, maledire le poltiglie precipitate fra le loro gambe. Piccoli luminosi cumuli di carne.»

Così mi dissero le vecchie del paese macerandosi ferocemente le mascelle. Rientravo quella sera dalla trebbiatura, la pula nel naso, la polvere appesa alle narici e una lanterna strillante nel buio. La luna fosca, la danza dei moscerini sul marciume dei frutti, le facce stantie di alcune vecchie col maccaturo che aureolava loro le tempie. Erano vecchie con le squame sul mento, con le guance grinzose delle rane. Avevano oscure maestà sepolte nei canali delle palpebre. E a me pareva di poterle sabotare con le mani quelle buie dicerie dei loro occhi. Sentivo parole emergere dal bianco dei loro denti con la foga del getto potente.”

E’ l’incipit di Arruina, il romanzo di esordio di Francesco Iannone pubblicato da Il Saggiatore.

Trance narrativa, è questa la sensazione che ho provato con questo romanzo. Leggevo in mente e mi figuravo una voce che non era la mia a pronunciare queste parole, la voce di una vecchia del paese, una di quelle col maccaturo che aureola le tempie che tante ne ho conosciute da piccola e più non mi è capitato di vederne oramai negli ultimi vent’anni.

Il libro

C’era una volta un paese in cui gorgogliavano i torrenti. Nel paese c’è una donna di mille anni che allatta bambini morti riesumati dalle ossa, un poeta che parla una lingua aliena, una vecchia con il latte nelle pupille, un contadino che in realtà è un cavallo, un matto che pesca lische di pesce dalla bocca di una tigre. C’è una terra piena di sterchi e pietraie, e chi vi cammina incontra presto la morte. C’è una città, che da questa terra non si può vedere, dove streghe chiamate Nerissime da millenni dissanguano i bambini e inghiottono acque acide da una fonte che le rende immortali. E c’è una bambina, un gracile corpuscolo di carne e sangue, di spirito e saliva, e nella bambina germoglia una maledizione antica: la sua nascita prosciugherà le acque della fonte mettendo in pericolo la vita delle Nerissime; solo la sua morte potrà garantire la sopravvivenza del male. Così, nottetempo, le streghe la rapiscono dal letto, e i disperati abitanti del paese, scortando i genitori della bambina, decidono di attraversare le asprezze della terra per salvarla.

La mia lettura

La lingua di Francesco Iannone è quella che mi ha catturato, più della stessa storia, esca infallibile perché le parole, legnose come uno stecco di liquirizia, una carruba secca, si insinuano dolci e dure in testa e là rimangono. Dialetto, lingua d’amore, germoglia e cresce arricchendo la potenza della narrazione.

La geografia del romanzo è fantastica e concreta al tempo stesso, fondamentale per lasciare che il lettore indulga in questo viaggio, “un cunto de li cunti” che ha il sapore di storia tramandata il cui carico è impossibile da rifiutare.

Arruina è la realtà osservata attraverso uno specchio concavo, il senso tragico dell’esistenza che si può raccontare solo con un’estetica deformata. Roccagloriosa e Acquavena e poi Sarno che ci trascina a forza dall’immaginario al reale di una natura matrigna e distruttrice, quella delle alluvioni che tutto lavano e trascinano:

“’O ’Mpasturato abbassa lo zoccolo e inizia a parlare: «Scappa, vai via, sciò sciò, la montagna fa il dispetto e con un morso stacca un pezzo e te lo sputa.» […]Fra i denti e le labbra un grumo

di saliva, e un boato, improvvisamente, la frana, a Sarno il cinque maggio millenovecentonovantotto. Sentivo, sentivo un vuoto e un dolore. E il cuore della terra che era il gridare del mondo.

[…]«Scappa, vai via, la montagna fa il dispetto e con un morso stacca un pezzo e te lo sputa.» Vidi la terra fluttuare in cima, vidi una pioggerella addensarsi in una fitta nube a pochi centimetri dal suolo. E un calore, e il gridare di tutti gli animali nelle stalle, e il gridare del vento e il vento sfracellarsi contro le pietre, e i lattanti cadere dal seggiolone. Vidi. Realmente io vidi. «La montagna viene giù giù giù» gridavano le vecchie, «votta abbascio tutte cose.»”

Arruina è un “esperpento”, la cui visione non può che giungere da una posizione penitente, la colpa e la speranza, l’amore e la forza che si porta appresso e spinge due genitori a rischiare per ritrovare quella figlia, la Sperduta, condannata a salvare e a salvarsi.

Il vero di Francesco Iannone è mascherato ma dall’emotività dell’autore si capisce che l’assurdo è realtà rappresentata e sopravvivervi diventa per ognuno dei personaggi fatto imposto.

La ripetizione di parole e concetti danno al testo allure di nenia antica, leggendo alcune descrizioni mi è parso di trovarmi davanti a un quadro di Hieronymus Bosch! “Cave cave Deus videt” (=Attenzione, attenzione, Dio vede)! L’agonia dei sentimenti si consuma in un alternarsi confuso di bene e male.

Ecco La Briganta:

È altissima e molto magra. Un tronco ricurvo. Un tronco avvilito dai suoi troppi secoli. La terra sotto le unghie. Mani che hanno scavato e fatto carezze. Mani che hanno trainato gli azzurri dei cieli da una parte all’altra della montagna. Gli occhi hanno pianto, sì. Ma poi c’è stato l’amore. La sera nel letto, la stanchezza dei corpi che si dicono cose da fermi, senza nemmeno sfiorarsi.

La Briganta, è il nome suo, perché da giovane sollevava mareggiate e ribaltava i mondi, perché noi non siamo il male, un angelo le aveva gridato negli orecchi stracciandosi la gola con ripetuti colpi di tosse.

Poi la sera, quando il padre rientrava, l’odore di corteccia fra i capelli, la casa illuminata dai baci sulla testa sua, e parole niente, niente tenersi con i fili deboli delle consonanti e delle vocali. Niente fraintendimenti di suoni, solo i gesti, i pochi gesti dell’amore facile, e parole niente, nessun alfabeto ovvio, quello che divide gli umani come le folate che allontanano i semi nel solco.[…]«La Briganta porta la luce ’ngoppa a la terra, la Briganta stuta la morte cu li vase».

Un Sud aspro, condizionato e dominato da un ambiente selvaggio, dalle immutabili leggi della natura. Credenze col potere di schiacciare, vinti tutti dalla tirannia del sacrificio.

E’ una poesia difficile Arruina, è carne e sangue, è sentimento dietro le tende spesse dei bassi, è mosca impazzita in cerca di qualcosa su cui posarsi.

Arruina è una scossa ipnica che a forza ci distrae dal sonno.

Arruina – Francesco Iannone – Il Saggiatore

L’immagine non è la copertina del libro, l’ho messa perchè ho trovato desse l’idea della mia lettura.