Passione e Competenza per un\'Italia miglioreIl legame tra libertà e informazione digitale

di Antonio Dell'Atti* Qualche mese fa mi sono imbattuto in un talk al TED di Vancouver di Carole Cadwalladr, giornalista dell’Observer. È un intervento che lascia senza fiato, se gli date un’occhi...

di Antonio Dell’Atti*

Qualche mese fa mi sono imbattuto in un talk al TED di Vancouver di Carole Cadwalladr, giornalista dell’Observer. È un intervento che lascia senza fiato, se gli date un’occhiata vi renderete conto del perché. Nel talk, Cadwalladr inchioda alle proprie responsabilità i giganti della Silicon Valley – Google e Facebook su tutti – sulle loro presunte colpe nelle vicende legate alla Brexit e all’elezione di Trump.

Nel marzo 2018, un Report pubblicato dalla Commissione Europea ha definito la disinformazione come un “fenomeno che include ogni forma di falsa, non accurata o fuorviante informazione, creata, presentata o promossa per causare intenzionalmente danno o per profitto”.

Secondo questa definizione, la disinformazione non include quindi soltanto le notizie palesemente false, ma anche quelle reali, o quei messaggi presentati in maniera tale da confondere i lettori (o gli ascoltatori, o gli spettatori) e dare una visione distorta della realtà, come ad esempio le generalizzazioni o le semplificazioni. Di esempi ce ne sono tanti. Per rimanere in Italia, si pensi alla falsa storia della bambina di 9 anni sposata e violentata dal marito musulmano, o le bufale sugli hotel di lusso che ospitano i clandestini (qui altri esempi riportati dall’UNHCR).

Oggi basta poco per rendere virali contenuti in apparenza reali, ma che in realtà sono falsi o fuorvianti (le fake news), soprattutto quando si tratta di contenuti che siamo “predisposti” a vedere perché rinforzano la nostra visione del mondo.

Se personaggi pubblici con una visibilità enorme condividono fake news o messaggi d’odio (hate speech), ne risulta danneggiata e limitata la nostra libertà e, di conseguenza, il suo esercizio più “elevato”, ovvero il voto, risulterà necessariamente inquinato, proprio a causa di quei messaggi fuorvianti e dai bombardamenti continui su temi caldi e divisivi.

Badate bene: qui non si sostiene che sia sbagliato insistere su temi vicini al proprio elettorato o alla propria community. Lo si è sempre fatto. Quello che è tremendamente sbagliato è però l’utilizzo di messaggi tendenziosi per rafforzare gli schemi mentali del proprio seguito, e “costringere” le persone a non avere altra scelta che andare in una certa direzione per cambiare la situazione che si vuole cambiare (es. immigrazione clandestina).

Se si condivide una notizia legata a una singola persona responsabile di un efferato omicidio, prendendola come spunto per criticare la sua intera categoria “sociale” di appartenenza, secondo le leggi attuali non stiamo commettendo reato, ma stiamo sicuramente perpetrando uno schema mentale funzionale a generalizzazioni.

Questo pericoloso circolo vizioso inquina la democrazia. Oggi, sfruttando il potere dei like e delle condivisioni, si possono influenzare le masse molto più rapidamente e intensamente rispetto al passato. Proliferano in Rete gli adepti a movimenti No Vax, terrapiattisti, gruppi estremisti che, senza scrupoli, condividono notizie false per perpetrare la propria visione del mondo e reclutare sempre più adepti.

Ma di chi è la colpa? Di questi gruppi? Di Facebook e degli altri social? Della polizia che non interviene? O un pezzettino di colpa ce l’abbiamo anche noi?

Noi che non ci informiamo prima di condividere, che non siamo consapevoli di quanto sia diventato importante condividere una notizia, che quando “postiamo” qualcosa diamo poca importanza al fatto che c’è qualcuno che ci osserva, perlomeno i nostri contatti. E in un mondo che corre, la fretta e la superficialità diventano alleate dell’ignoranza, e permettono alle fake news e ai discorsi d’odio di proliferare.

Recentemente abbiamo capito come anche solo accennare a qualsiasi forma di bavaglio informatico verso chi perpetra odio e rancore, possa provocare una levata di scudi da parte dei paladini del web. E non necessariamente a torto. Certo, la politica e la magistratura possono fare di più per arginare con le leggi il fenomeno della disinformazione. Un tentativo in tal senso è stato fatto con la Commissione Segre contro odio e razzismo che, al di là delle incomprensibili polemiche, ha posto un segnale all’opinione pubblica di come la politica stia, seppur a fatica, provando a non essere indifferente rispetto a quello che accade sul web.

Ma se si vuole una soluzione strutturale al problema, questa va cercata altrove: nell’informazione e nella cultura digitale a partire dalle ragazze e dai ragazzi sui banchi di scuola, fino agli anziani che, secondo alcune ricerche, sono la categoria che più di tutte condivide notizie false per mancanza di consapevolezza digitale. Su questo tema è in partenza un progetto europeo, DIGITOL, coordinato dal Consorzio Comunità Brianza, che punta a favorire un dialogo intergenerazionale sul tema, con gruppi di giovani e anziani che lavoreranno insieme per individuare e combattere le fake news e, allo stesso tempo, si confronteranno su temi divisivi, come le migrazioni o la comunità LGBT, spesso oggetto di stereotipi.

Una corretta e consapevole informazione è l’antidoto all’ignoranza, e la battaglia a favore della buona informazione è una battaglia per il futuro della democrazia. Chi la nega e la vuole affossare, gioca e investe sulla disinformazione, limitando i principi stessi di libertà e uguaglianza. Chi la vorrebbe salvare, spesso sottovaluta il fenomeno e non si rende conto di come già oggi la nostra libertà ci stia sfuggendo di mano.

Per non farsi irretire dalle fake news e imparare a essere resilienti rispetto all’odio e rancore che ora dopo ora vengono vomitati sul web, occorrono investimenti che consentano di aumentare la consapevolezza digitale dei cittadini, per renderli capaci di difendersi e reagire alle insidie della Rete. Insegnanti ed educatori, “nuovi” e “vecchi” media, politici e amministratori pubblici, sono tutti chiamati a fare la propria parte. Perché un cittadino informato è un cittadino libero. E sono i cittadini liberi che rendono un Paese libero.

P.S. 4 pillole da condividere con figli/e, nipoti, zii/e, nonni/e, cugini/e per difendersi dalle bufale sul web:

1) controllate le fonti delle notizie che vedete circolare sui social (es. notizie pubblicate da siti come: “Il Fatto Quotidaino” o “Il Corriere della Notte”)

2) controllate l’accuratezza dei fatti riportati, ad esempio se sono citati nomi di persone, date e luoghi precisi

3) se i titoli sono in maiuscolo o con tanti punti esclamativi l’allarme bufale è altissimo

4) non fermatevi a un’unica fonte. Se la notizia vi puzza un po’, fate una rapida verifica anche su altre testate

*Antonio Dell’Atti è co-founder di Project School ed esperto in progettazione sociale innovativa. Fa parte della rete degli influencer Prioritalia.

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