Non aprite quelle porteLe nostre sfaccettature

In quarantatré anni di vita, camminando per strada, mi sono sentita dire tante cose diverse e questo blog ne è testimone: dove è la stazione, hai una moneta che devo telefonare, fammi un pompino, h...

In quarantatré anni di vita, camminando per strada, mi sono sentita dire tante cose diverse e questo blog ne è testimone: dove è la stazione, hai una moneta che devo telefonare, fammi un pompino, hai visto che al mio cane ho insegnato a fiutare la figa, cosa leggi, una firma per la droga, lo sai che nel sud est asiatico i bambini muoiono di fame, eccetera eccetera.

Tutte cose con un loro senso, anche se alcune discutibili.

Nell’ultimo mese invece, più o meno nello stesso punto della stessa via, quello che io immagino essere lo stesso uomo (ma non posso metterci la mano sul fuoco perché non sono fisionomista) mi ha detto in due occasioni diverse: africana bianca. Non una parola in più. Non una parola in meno.

Ora, che senso ha?

È perché ho i capelli belli come Afef?

O perché in qualche modo ha saputo che sono riuscita a correre dodici chilometri senza morire?

O ancora perché vincerò il Nobel?

Probabilmente non lo scoprirò mai, a meno di incrociarlo una terza volta e chiederglielo. Però questa cosa mi affascina. A tutti noi passano nella mente delle cose quando guardiamo gli altri, è del tutto naturale; alcuni poi vanno oltre e sentono il bisogno di esprimerlo, cosa che in linea di massima detesto ma che in rari casi, come questo, mi riempie di curiosità.

Cosa vedono in noi le persone che non ci conoscono?

E quello che vedono è davvero sempre campato per aria?

Una volta su cento non potrebbe invece rivelare un particolare di cui non siamo consapevoli, un qualcosa di noi che ci sfugge ma che c’è?

Siamo quello che siamo, per dirla banalmente, siamo quello che vogliamo essere, siamo l’immagine che vogliamo dare, ma siamo anche quello che vogliamo nascondere, consapevolmente o meno, siamo mille sfaccettature.

Alcune le accettiamo, alcune le accentuiamo, alcune le seppelliamo sotto strati di trucco reale e virtuale, alcune le abbelliamo con dei filtri, alcune le ignoriamo. Ma tutte alla fine in qualche modo emergono. Magari solo per un istante, mentre camminiamo per strada pensando a cosa mangiare per cena, senza che nemmeno ce ne rendiamo conto.

Un guizzo di quello che siamo, senza filtri.

Un guizzo che arriva agli altri, senza imposture.

Sarà così che funzionano i colpi di fulmine?

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