Non aprite quelle porteMa tu di più

Avete presente quelle persone che, se tu hai A, loro hanno cento volte A? Ecco, io avevo un’amica così. Avevo mal di testa? Lei di più. Ero triste? Lei di più. Mezzi in ritardo? Lei di più, bloc...

Avete presente quelle persone che, se tu hai A, loro hanno cento volte A? Ecco, io avevo un’amica così.

Avevo mal di testa? Lei di più.

Ero triste? Lei di più.

Mezzi in ritardo? Lei di più, bloccata in coda in tangenziale che guarda, tu non puoi neanche capire.

È vero, non posso capire. Perché alcune persone abbiano un bisogno patologico di essere compatite proprio non lo capisco, come non capisco perché il discorso non valga anche in positivo. Faccio un esempio: se io sto male ma tu di più, perché quando sto bene tu comunque mi affossi con le tue paranoie invece di stare meglio di me? Non ha senso. O meglio, un senso ce l’ha e riguarda il bisogno di essere compatiti di cui sopra, ma personalmente troverei faticosissimo inventarmi sempre una nuova magagna.

Ero felice? Lei stava male, molto male, e beata te che non hai problemi.

Raggiungevo un traguardo lavorativo? Lei no, poverina, con il suo lavoro così di merda che non puoi immaginare.

Piano piano ho smesso di confidarmi, di raccontarle i fatti miei, di renderla partecipe della mia vita. Dubito tra l’altro che le sia mai importato davvero – probabilmente ero solo una delle tante persone con cui si poteva rendere protagonista. Ora, questo è un caso particolare, un’amicizia – o quella che io forse ingenuamente consideravo un’amicizia – finita male, ma quante volte ci troviamo ad affrontare queste persone ma io di più?

Al lavoro, ad esempio: colleghi così concentrati su se stessi, che ti chiedono come stai solo per fare in modo che anche tu lo chieda a loro. Parlano per ore della loro vita e quando tu ti azzardi a dire qualcosa di personale interrompendo il film autobiografico, ti ricordano che loro quella cosa l’hanno già vissuta, ma di più.

O ancora, sui mezzi: conoscenti che vorresti non conoscere che, appena tu dici che il giorno prima, mentre cucivi l’orlo dei jeans, hai cucito anche il tuo dito, ti raccontano di quella volta in cui, cambiando l’orientazione della mensola del salotto per allinearla con l’ombra del sole nel solstizio d’estate, si sono trapanati tutta la mano, non solo un misero dito.

Altro esempio, la parente lontana che grazie al cielo vedi solo una volta all’anno: arrivi trafelato alla riunione di famiglia perché un cretino al cellulare ti ha tamponato al semaforo e lei zac, con una rapidità sorprendente estrae un collarino dalla borsa e ti fa presente che lei sta male da mesi – MESI! – perché un camion modello Duel di Spielberg l’ha spinta volontariamente nel fosso.

L’unica, con queste persone, è provare a esclamare ad alta voce: “Sono un pirla”.

Se siamo fortunati, per riflesso risponderanno: “Ma io di più”.

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