Passione e Competenza per un\'Italia miglioreLe donne nei posti di comando cambieranno il mondo?

Se n’é parlato molto in questi giorni, prendendo spunto soprattutto dalla nomina della nuova premier finlandese, la 34enne Sanna Marin. Da questa nomina ha preso spunto Gad Lerner sulla Repubblica:...

Se n’é parlato molto in questi giorni, prendendo spunto soprattutto dalla nomina della nuova premier finlandese, la 34enne Sanna Marin. Da questa nomina ha preso spunto Gad Lerner sulla Repubblica:

Sembra che in Italia siano davvero insormontabili gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione della parità di genere nelle posizioni di vertice della politica, ammesso e non concesso che questa possa risultare una scusante per un partito a vocazione progressista: su venti presidenti di Regione, l’unica donna è la leghista Donatella Tesei, di recente eletta in Umbria. E sempre a destra troviamo l’unica segretaria di partito: Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia. Per il resto, da Leu a Italia viva fino al Movimento 5 Stelle, e poi dalla Lega a Forza Italia, a comandare sono tutti uomini. Fa parziale eccezione la piccola formazione +Europa che oggi soffre forti divisioni interne ma ha per fondatrice Emma Bonino.

Per numero di abitanti, l’Italia è dieci volte più grande della Finlandia. Ma questo non significa nulla, perché anche in Italia le donne sono più numerose degli uomini: per la precisione, sono quasi due milioni in più. Il fatto è che contano molto, ma molto di meno. Non solo nel mondo del lavoro, dove i differenziali nelle retribuzioni (gender gap) sono fra i più alti d’Europa, ma anche nella rappresentanza politica. Con una particolarità: in settant’anni, dal 1948 al 2018, le donne elette in Parlamento sono balzate dal 5% al 35%, ma la percentuale precipita brutalmente quando si tratta di accedere a incarichi di responsabilità. Tanto è vero che, nella ormai lunga storia della nostra Repubblica, fino ad oggi mai nessuna donna ha guidato un governo. Né tanto meno è stata eletta al Quirinale.

La nomina di Marta Cartabia a primo presidente donna della Corte Costituzionale (“Ho rotto un cristallo, spero di fare da apripista”) è certamente un segno positivo. C’è da chiedersi, ovviamente, se le donne al vertice rappresentano anche un modo diverso di fare politica. Alcuni esempi, da Margaret Thatcher, che tagliò le statistiche sulla povertà e guidò la Gran Bretagna nella vittoriosa guerra delle Falkland, fino (purtroppo) al Premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, apparentemente impassibile di fronte al genocidio dei Rohinya, ci dicono che questa differenza non è scontata. Ma l’esempio della prima ministra neozelandese Jacinda Arden ci dice che la politica al femminile può anche segnare una maggiore sensibilità a priorità diverse. La Nuova Zelanda infatti ha annunciato di dare la cittadinanza a tutti gli abitanti delle isole del Pacifico che stanno per finire sott’acqua per via del cambiamento climatico.

Ma anche senza andare agli antipodi, i programmi di Ursula von der Leyen a capo della Commissione europea (programmi ora ribaditi nella presentazione del Green new deal), di Christine Lagarde alla guida della Bce, l’impronta verde impressa alla politica tedesca da Angela Merkel e il maggior impegno sociale della nuova leadership socialdemocratica di Saskia Esken (con Norbert Walter-Borjans) segnano una maggiore attenzione ai valori sanciti nell’Agenda 2030.

Negli Stati Uniti, forse i programmi di Elisabeth Warren sono troppo arditi per battere Donald Trump nelle prossime presidenziali americane, ma non c’è dubbio che la sua candidatura ha posto con forza il problema delle eccessive diseguaglianze che minacciano la sostenibilità sociale.

Il problema delle disuguaglianze esiste anche in Italia, non solo tra Nord e Sud, ma anche all’interno delle diverse aree. Lo ha evidenziato l’Istat in un suo recentissimo comunicato basato su dati del dal 2016 al 2018, ripreso dal portavoce dell’ASviS Enrico Giovannini nella sua trasmissione “Scegliere il futuro”. Lo riportiamo con ampiezza.

I dati più interessanti riguardano le disuguaglianze e la condizione di povertà. Le disuguaglianze nel 2017, nonostante la ripresina economica, sono sostanzialmente invariate: il rapporto tra il reddito del 20 per cento più ricco e quello del 20 per cento più povero è pari 6,1 volte, cioè i ricchi guadagnano oltre sei volte quello che guadagna il 20 per cento più povero della popolazione. In generale la disuguaglianza è maggiore in Italia rispetto ai grandi Paesi europei come Francia e Germania. Anzi l’Italia si trova in 21esima posizione nella classifica europea su questo particolare indicatore.

È interessante anche vedere le disuguaglianze interne all’Italia: sono maggiori nel Sud e nelle Isole mentre raggiungono un livello nettamente più basso nel Nord Est. Questo evidentemente testimonia la condizione di scarsa dinamicità del sistema economico, che consente ad alcune aree del Paese di scalare posizioni e di utilizzare quell’ascensore sociale che invece nel Sud e nelle Isole sembra particolarmente bloccato.

Un altro dato interessante riguarda la condizione delle famiglie che secondo la definizione europea sono a rischio di povertà o di esclusione sociale. Nel 2018, 12 milioni e 230mila persone si trovavano in questa situazione, a testimonianza ancora una volta che la ripresina economica che abbiamo sperimentato non ha di fatto cambiato la condizione delle famiglie italiane. L’Italia si trova in una posizione nettamente peggiore rispetto ai grandi Paesi: infatti il 20,3 per cento delle famiglie italiane è in questa condizione contro una percentuale del 17,4 per cento in Francia e del 18,7 per cento in Germania. Da un punto di vista territoriale il Mezzogiorno vede aumentare questa percentuale, ed è un dato preoccupante.

Che conclusioni possiamo trarne? Vedremo l’effetto del reddito di cittadinanza, ma è evidente che una crescita economica così contenuta come quella sperimentata nel 2017 da sola non è in grado di risolvere i problemi delle disuguaglianze nel nostro Paese. Serve da un lato un’accelerazione della crescita economica e quindi maggiori opportunità di buona occupazione e di stipendi adeguati, ma dall’altro si pone il tema della lotta alla povertà che non è solo assenza di reddito, ma fondamentalmente deprivazione e dunque incapacità anche di utilizzare le opportunità che ci sono.

Allarghiamo di nuovo lo sguardo: venerdì 13 si chiude la Cop 25, la conferenza sul clima di Madrid. Avremo modo di parlarne quando ne conosceremo i risultati finali, ma intanto possiamo rimandare alla cronaca pubblicata sul sito dell’ASviS e anche nel nostro spazio sul portale Ansa 2030. Ma tra i tanti spunti cogliamo due notazioni “a margine”, raccontate dalla sempre gustosa Rassegna stampa del Corriere della Sera. Sulla spinta della doppia traversata di Greta Thunberg, è ripreso l’interesse per le grandi navigazioni a vela e si allestiscono nuovi velieri per trasporto passeggeri con moderne tecnologie che usano effettivamente la propulsione del vento ed emissioni vicine allo zero. Non si risolve così il problema del traffico marittimo fortemente inquinante, ma è comunque un bel segnale, soprattutto nell’ottica di una riduzione della navigazione aerea. Per chi ha tempo, ovviamente.

La seconda annotazione, per avviarsi alla conclusione con un sorriso, è che un gruppo di attivisti desiderosi di seguire Greta a Santiago (dove originariamente doveva tenersi la Cop 25), sono arrivati in barca a vela alla Martinica dall’Europa. Quando però hanno saputo che la conferenza era stata spostata a Madrid, non si sono scapicollati come ha fatto Greta per ritornare indietro (tra l’altro la rotta oceanica dalle Americhe all’Europa senza l’aiuto degli alisei è molto più impegnativa), ma hanno delegato alcuni loro amici a rappresentarli nella capitale spagnola. Sono rimasti al sole dei Caraibi, a seguire la conferenza e dare disposizioni via Skype in costume da bagno. Non so se questo è un comportamento sostenibile, ma certo la loro qualità della vita ne ha guadagnato, almeno momentaneamente.

A proposito di qualità della vita: oggi comincia il congresso dell’Aiquav, l’Associazione italiana che unisce gli studiosi delle misure “oltre il Pil”. Nella rubrica “Alta sostenibilità” dell’ASviS, curata da Valeria Manieri ed Elis Viettone su Radio Radicale, ne ho discusso con Filomena Maggino, presidente dell’Aiquav e consulente del premier Giuseppe Conte e con Linda Laura Sabbadini, direttore centrale dell’Istat. Il tema delle misure del benessere individuale e collettivo è in continua evoluzione e dal dibattito alla radio è emerso da un lato la crescente attenzione dell’Istat sulle statistiche sociali e dall’altro l’impegno della Cabina di regia “Benessere Italia” di Palazzo Chigi a lavorare con particolare attenzione sulle situazioni locali. Il mondo della statistica, così importante per misurare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile, è in continuo progresso ed è importante che i dati, e non le fake news, aiutino la politica a prendere le decisioni giuste.

di Donato Speroni, responsabile della redazione dell’ASviS

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club