Lo scorso 2 gennaio il Consiglio di Stato ha pronunciato una sentenza di particolare interesse sul tema del contemperamento fra valori di natura e rango costituzionale che vanno ad incidere sulla vita delle persone con disabilità. Come riportato dal Redattore Sociale, a seguito del mancato inserimento di un giovane con grave disabilità in un centro diurno per la lamentata mancanza di risorse finanziarie da parte di un’Azienda Sanitaria del Veneto, i giudici amministrativi di secondo grado hanno ritenuto che “l’affermato principio dell’equilibrio di bilancio in materia sanitaria […] non possa essere invocato in astratto, ma debba essere dimostrato concretamente come impeditivo, nel singolo caso, all’erogazione delle prestazioni e, comunque, nel caso in cui la disabilità dovesse comportare esigenze terapeutiche indifferibili, il nucleo essenziale del diritto alla salute deve essere salvaguardato”. In sostanza il Collegio ritiene che le norme a tutela delle persone con disabilità, “in un quadro costituzionale che impone alle Istituzioni di favorire lo sviluppo della personalità, risultano essenziali al sostegno delle famiglie ed alla sicurezza e benessere della società nel suo complesso”, in quanto argini contro fenomeni di isolamento e segregazione che causano costi umani ed economici, potenzialmente insostenibili per le famiglie. Il Consiglio, nel richiamare la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità e i principi fondamentali della Costituzione Italiana relativi, ad esempio, alla tutela dei diritti inviolabili dell’uomo e agli inderogabili doveri di solidarietà sociale ed al compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana, pone l’accento su quel nucleo indefettibile di garanzie che costituisce un limite espresso alla discrezionalità del Legislatore e dei pubblici poteri nella individuazione delle misure necessarie alla tutela dei diritti delle persone con disabilità, come già la Corte costituzionale aveva ricordato in materia di diritto al sostegno scolastico in deroga (sentenza n. 80 del 2010). Attenzione però: la pronuncia non vuole significare che l’attore pubblico non sia sempre e comunque obbligato a tenere conto della effettiva disponibilità economica, ma che debba, da un lato, dimostrare concretamente e nel dettaglio la mancanza di risorse e l’impossibilità di reperirne altre e, dall’altro, operare proattivamente nel ricercare diverse soluzioni, anche di natura organizzativa. Solo allora potrà dirsi che non si sia impropriamente inciso sul nucleo fondamentale di garanzie poste a tutela delle persone più fragili. Una posizione, potrebbe dirsi, di buon senso e che, tuttavia, pone un ulteriore dovere a carico delle pubbliche amministrazioni che non potranno limitarsi a constatare i vincoli di bilancio loro posti dall’ordinamento ma dovranno adoperarsi a trovare, ove possibile, soluzioni alternative. Un elemento che dovrebbe spingere, ancora una volta, alla sempre più urgente trasformazione delle amministrazioni – a tutti i livelli di governo – in organizzazioni che contemperino efficacemente controlli e orientamento al risultato. Soccorre, peraltro, in questa interpretazione anche la stessa Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2006. Essa evidenzia l’impegno dello Stato a prendere “misure, sino al massimo delle risorse di cui dispone” con esclusivo riferimento ai diritti economici, sociali e culturali, pur senza pregiudizio per gli obblighi contenuti nella Convenzione che siano immediatamente applicabili in conformità al diritto internazionale (art. 4.2). Allo stesso tempo, tuttavia, uno dei concetti fondamentali che accompagna e sostanzia la concreta realizzazione dei diritti contenuti del trattato di New York è quello relativo all’accomodamento ragionevole, ossia l’insieme delle modifiche e degli adattamenti necessari ed appropriati per garantire alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali: si tratta di modifiche ed adattamenti, dice la Convenzione, che non devono imporre un onere sproporzionato o eccessivo, incontrando, dunque, limiti dettati dalla relazione del costo rispetto alla situazione concreta. Ci si muove, evidentemente, in un ambito caratterizzato da una forte elasticità, condizionata dai diversi fattori che incidono sulla situazione di specie e che rende probabilmente con maggiore chiarezza l’ambito di applicazione della sentenza di Palazzo Spada. Occorre, volta per volta, a fronte del rischio di impattare negativamente sul nocciolo duro delle garanzie che, sempre e comunque, debbono essere poste a presidio dei diritti costituzionali delle persone con disabilità, esaminare con estrema attenzione ogni alternativa a disposizione a fronte dei limiti di risorse finanziarie e di bilancio posti all’azione pubblica: non si tratta, come è evidente, di un compito di facile esercizio, comportando alti rischi di valutazione da parte degli attori in campo e una particolare responsabilità da parte del giudice che potrebbe essere chiamato a stabilire se e quanto sia stata diligente e/o efficace l’azione pubblica rispetto alla tutela di un diritto condizionato da vincoli esogeni. Una sfida rilevante per le pubbliche amministrazioni che operano sul campo e per la politica che decide e alloca le risorse.
10 Gennaio 2020