Il tema dei diritti – sociali, civili, umani – delle persone è vasto quanto complesso, intersecando tutte le dimensioni dell’essere umano a partire dal genere, dall’età, e dalle condizioni socio-economiche. In questo complicato e affascinante mare magnum dei diritti, c’è un aspetto che raramente viene trattato con la dignità che merita e che, tuttavia, è assolutamente determinante per la vita delle persone interessate: esso investe, infatti, la sfera dell’affettività e della sessualità per le persone con disabilità, in particolare per le persone con disabilità intellettiva. A questo proposito Coordown, il Coordinamento nazionale delle associazioni delle persone con sindrome di Down, ha recentemente lanciato “Ora Parlo Io!”, la prima indagine nazionale sulla sessualità e l’affettività delle persone con sindrome di Down, che ha coinvolto 650 intervistati di tutte le età e che dimostra la rilevanza del tema dell’amore e del sesso nella loro quotidianità. I dati rilevano che si tratta di esperienze fortemente desiderate ma in larga parte insoddisfatte a causa dei tanti condizionamenti sociali e culturali, nonché, spesso, per l’affettuosa barriera costituita dagli stessi familiari: i risultati dicono, infatti, che i pensieri e le aspirazioni degli intervistati sono distanti da quel che pensano i genitori e dalla percezione che del tema ha la società. Colpisce, riporta Coordown, che in molti non abbiano risposto alle domande riguardanti il desiderio di fare l’amore e di avere figli: un evidente segnale d’allarme sulla necessità di non prendere sotto gamba il tema dell’educazione sentimentale e sessuale, dalla famiglia fino alle istituzioni. Quella dell’affettività e della sessualità delle persone con disabilità è una questione che aleggia, quasi eterea, nei dibattiti e dei documenti circa il godimento dei diritti e la piena inclusione nella società ma resta ancora marginale nella discussione generale. Fu l’indimenticato Franco Bomprezzi – manco a dirlo – ad affrontare il tema senza mezzi termini per la prima volta sul principale quotidiano italiano, ricordando che “l’amore, ma anche l’approccio sessuale, parte dallo sguardo, e gli sguardi che toccano le persone disabili spesso feriscono, quasi uccidono. Nella società dell’esaltazione del corpo perfetto è difficile superare la barriera rappresentata da una sedia a rotelle, o da una camminata incerta, o da un modo di parlare rallentato da un deficit o da una spasticità, o dalla cecità. La discriminazione sessuale è evidente, forte, crudele, cinica. Colpisce equamente giovani e meno giovani”. Bomprezzi, anche ricorrendo alla propria, preziosa esperienza personale aveva voluto portare alla luce una questione fondamentale per la dimensione psicofisica dell’essere umano, con o senza disabilità, che, purtroppo, per profondi condizionamenti culturali ancora presenti nella nostra società, non trovano adeguato spazio nel dibattito pubblico. In quel fondamentale articolo allargava, inoltre, il campo non dimenticando di menzionare la “frontiera ancora più complessa, e racchiusa spesso nel silenzio muto della famiglia” della sessualità delle persone con disabilità intellettiva e “la doppia discriminazione che unisce disabilità e omosessualità, maschile e femminile: una realtà che ovviamente esiste, nelle proporzioni analoghe a quelle esistenti e conclamate oggi nella nostra società apparentemente meno omofoba di un tempo. Eppure qui è più difficile, quasi impossibile rivelarsi, fare outing”. Ecco perché c’è bisogno di rendere esplicito quel che pensano le persone con disabilità, quali sono i loro desideri e quali le barriere che impediscano loro di vivere con pienezza una vita affettiva e sessuale, magari con i problemi di tutti gli altri. D’altronde, la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, pur non parlando esplicitamente di diritto alla sessualità (nel testo non si ritrova mai la parola “amore”), dispone espressamente, in materia di famiglia (art. 23), l’obbligo per gli Stati di implementare misure appropriate per eliminare la discriminazione in tutte le questioni riguardanti matrimonio, famiglia, genitorialità e relazioni personali e richiede sia riconosciuto il diritto delle persone con disabilità di decidere liberamente e responsabilmente riguardo al numero dei figli e all’intervallo tra le nascite e di avere accesso in modo appropriato, secondo l’età, alle informazioni in materia di procreazione e pianificazione familiare, fornendo i mezzi necessari ad esercitare tali diritti. C’è, tuttavia, ancora pudore e ritrosia nel parlare apertamente e senza troppi peli sulla lingua di amore e sesso per coloro che una cultura dominante ancora drammaticamente impreparata a gestire le tante diversità si ostina a considerare una sorta di eterni fanciulli. In molti si fatica ad accettare, superando un’irrazionalità ancestrale, che corpi non allineati e pensieri ed emozioni fuori dai binari possano aspirare a condurre la propria vita sentimentale e sessuale come, con chi e quando vogliano. E se passi avanti sono stati fatti, per taluni la strada è ancora assai accidentata. Paolo Sorrentino ha immaginato, in alcune scene del suo sceneggiato “The new Pope”, il ruolo di una giovane donna, interpretata da Ludivine Sagnier, che, dietro pagamento da parte delle famiglie, accompagnava sessualmente alcuni giovani con disabilità, nascosti al mondo e lasciati alla loro solitudine, echeggiando la figura dell’assistente per la sana sessualità e il benessere psico-fisico delle persone con disabilità, o assistente sessuale, come recitava un disegno di legge di iniziativa parlamentare presentato nel 2014. Difficile dire se questa sia una strada da perseguire e in che modo: improprio e presuntuoso arrogarsi il diritto di conoscere ed interpretare necessità ed aspirazioni così profonde ed intime di un’altra persona. Fondamentale, tuttavia, che la discussione circa l’amore, in tutte le sue sfaccettature, che riguarda le persone con disabilità esca dal cono d’ombra in cui è ancora relegato e entri, a pieno titolo, fra gli aspetti di cui tener conto nel percorso per garantire piena inclusione e cittadinanza a tutte e a tutti.
16 Febbraio 2020