Passione e Competenza per un\'Italia miglioreEvitiamo il ripetersi delle “tempeste perfette”

Il tremendo lunedì nero dei mercati aggiunge nuovi segnali sull’arrivo di una “tempesta perfetta” per l’economia mondiale. Allo shock paralizzante da coronavirus si è aggiunta all’improvviso una gu...

Il tremendo lunedì nero dei mercati aggiunge nuovi segnali sull’arrivo di una “tempesta perfetta” per l’economia mondiale. Allo shock paralizzante da coronavirus si è aggiunta all’improvviso una guerra del petrolio fra Arabia Saudita e Russia che accelera il crollo delle materie prime. Gli investitori sono sull’orlo del panico anche perché non vedono “un adulto al volante” della macchina che sta per schiantarsi. La risposta dei governi è in ritardo, sia sul fronte sanitario sia su quello economico. Manca ogni coordinamento tra nazioni, proprio quando il mondo intero è minacciato da un’emergenza comune. I segnali di recessione abbondano su tutti gli schermi radar. (…) Nella “tempesta perfetta”, l’unico segnale di schiarita all’orizzonte potrebbe venire dalla Cina, se si confermano le notizie ufficiali e la graduale normalizzazione dell’attività economica.

Coì scriveva Federico Rampini sulla Repubblica di lunedì 9 marzo e da allora le cose non sono certo migliorate. Con il collega Gianluca Comin, nel 2012, pubblicammo per Rizzoli un libro che si chiamava proprio “2030 la tempesta perfetta – Come sopravvivere alla grande crisi”. Si basava su un rapporto del capo dei consulenti scientifici del governo inglese, John Beddington, che aveva lanciato l’allarme: la somma dei fattori climatici, ambientali, demografici, economici in mancanza di adeguata governance internazionale avrebbe creato entro vent’anni una situazione ingestibile per i nostri sistemi economici e sociali: la perfect storm, appunto.

Quando mi accade di parlarne, in una delle conversazioni alle quali vengo invitato per conto dell’ASviS, avverto anche che Beddington era stato troppo ottimista perché la tempesta perfetta ci è già piombata addosso: fenomeni meteorologici estremi, migrazioni di massa, conflitti di vario genere hanno funestato questi anni. E adesso questa pandemia. Luca Mercalli sul Fatto Quotidiano dell’11, ha scritto un articolo che evidenzia la correlazione tra clima e virus.

Possiamo evitare che le “tempeste perfette” si ripresentino sotto varie forme, come molti esperti temono, anche perché l’ormai evidente accelerazione della crisi climatica ha effetti complessi che potrebbero essere disastrosi? Il portavoce dell’ASviS Enrico Giovannini ha affrontato il tema in un commento sull’ultimo numero dell’Espresso. STACCARE QUI

Proprio gli scienziati che finalmente l’Italia sembra disponibile ad ascoltare, ci dicono che con il cambiamento climatico la diffusione di nuovi virus sarà più frequente, per cui bisogna investire oggi per essere più capaci di gestire situazioni analoghe in futuro. Inoltre, si dovrebbe usare il tempo del rinvio delle decisioni di consumo e di investimento per preparare strumenti che orientino la futura ripresa nella direzione del green new deal, così da trasformare il nostro sistema economico in senso ecologico e ridurre i rischi sanitari derivanti dalla crisi climatica. Così come dovremmo ripensare alla divisione di compiti tra regioni e Stato e tra Stato e Unione europea in tema di politiche sanitarie, come da molti già segnalato. E potrei continuare.

Lunedì Giovannini ha ripreso questi concetti in un colloquio con le giornaliste Valeria Manieri ed Elis Viettone ad “Alta sostenibilità”, la rubrica dell’ASviS su Radio radicale. Il portavoce dell’Alleanza ha sottolineato che è necessario uscire dalle crisi cambiando il nostro modo di guardare al futuro.

Il concetto di cigno nero cioè di un qualcosa che non era stato previsto, in questo caso non si applica: questo non è un cigno nero, perché gli scienziati ci avevano messi in guardia. Ci avevano detto che fenomeni del genere avrebbero potuto presentarsi e soprattutto che si ripresenteranno in futuro a causa del cambiamento climatico; quindi è importante anche capire, al di là della gestione emergenziale assolutamente fondamentale, che cosa dobbiamo cambiare nei nostri sistemi, non solo per attrezzarci meglio, ma anche per costruire una resilienza cioè una capacità di risposta dei nostri sistemi socioeconomici molto maggiore di quella che stiamo vedendo in queste ore.

Il concetto di resilienza (sul quale abbiamo anche diffuso un video), accanto a quello di vulnerabilità, è fondamentale per uscire dalla attuale pandemia, non “rimbalzando indietro”, cioè tornando al business as usual una volta finita la paura, ma con un “salto in avanti” che si avvalga di questa esperienza per evitare in futuro conseguenze peggiori.

Ho provato, senza pretesa di completezza, ad applicare vulnerabilità e resilienza all’analisi di questa infezione da coronavirus in Italia.

Le vulnerabilità. Quali sono i punti di debolezza rivelati in Italia da questa crisi?

  • I tagli alla spesa sanitaria applicati in questi anni. Anche in presenza degli stringenti vincoli di bilancio che vigevano fino a ieri, la spesa sanitaria è crollata al 6,5% del Pil, tre punti sotto Germania e Francia, come confermato giovedì da Carlo Cottarelli sulla Stampa. Insufficienti anche i fondi per la ricerca scientifica e per la scuola. Anche senza entrare nel merito di scelte specifiche, è evidente che queste voci dovevano essere collocate più in alto nella scala delle priorità di finanza pubblica.
  • La farraginosità del nostro sistema di decisione. Come ha spiegato Romano Prodi a “Di martedì” su La 7, la democrazia fa certamente più fatica a prendere decisioni rapide rispetto al sistema tecnocratico-autoritario cinese, ma dobbiamo tenercela ben stretta. Tuttavia, la delega ai territori, Regioni ed enti locali, in situazioni di emergenza deve cedere il passo a decisioni centralizzate ottenute per quanto possibile con il consenso di tutti i soggetti, ma comunque rapide e vincolanti. È opinione diffusa che ci siano stati troppi ritardi, anche se gli altri Paesi europei stanno facendo molto peggio, per non parlare degli Stati Uniti.
  • Un certo modo di fare politica, pieno di incertezze, di decisioni di facciata, di voglia di protagonismo e di falle comunicative. Su questo non insisto, ma chi ha seguito le cronache di questi giorni capisce bene che c’è qualcosa che non funziona, senza per questo buttare la croce addosso soltanto al Governo, ai leader della maggioranza e a quelli dell’opposizione. La riflessione su scelte collettive basate su sondaggi, interazioni social e quant’altro, come accade in questa fase storica, deve essere ben più profonda.
  • La difficoltà di essere credibili di fronte all’opinione pubblica. Nonostante il profluvio di comunicazioni è apparso chiaramente che la popolazione, tranne quella più direttamente toccata nelle “zone rosse” finché queste esistevano, ha faticato a capire la gravità della situazione e quando finalmente l’ha percepita, ha reagito inizialmente in modo confuso e spesso totalmente sbagliato. Gli esempi si sprecano: c’è un diffuso scetticismo nei confronti di tutto quello che arriva “dall’alto”, frutto di anni di diffidenza verso la cosiddetta “casta”, ormai senza eccezioni di partiti o movimenti politici.
  • Il lavoro precario e irregolare. Ora il governo assicura che nessuno perderà il lavoro per questa crisi e che anche le partite Iva verranno risarcite. Varrà anche per i giovani in situazione di precariato? E che dire dei tanti irregolari, non certo per colpa loro? Il pensiero va per esempio ai manovali senza contratto che lavorano in cantieri collocati in altri comuni di un’area metropolitana. E anche agli immigrati e ai rider dei ristoranti chiusi ma autorizzati alle consegne a domicilio. Certamente meritano più tutela.
  • Le gravi diseguaglianze. Nessun Paese, neppure la Germania riunificata, ha situazioni economiche e di funzionamento dei servizi sociali così diverse da regione e regione. L’Italia non può davvero rimettersi a correre se questo divario gradualmente non si riduce, altrimenti il Mezzogiorno diverrà una terra arida e spopolata, una palla al piede per il resto dell’Italia.
  • La situazione delle carceri. Conoscevamo da tempo il sovraffollamento dei penitenziari, ma tutti i tentativi di ridurre il numero dei reclusi si è regolarmente infranto contro la percezione da parte dei politici che questo tema fosse sgradito all’opinione pubblica. Meglio lasciare i colpevoli (e magari anche gli innocenti) “marcire in galera”. Peccato però che gli istituti di pena siano parte del corpo sociale.

La resilienza, Su che cosa invece possiamo contare sulla base dell’esperienza di questi strani giorni?

  • Innanzitutto, l’abnegazione dimostrata da alcune categorie professionali, che in questo momento non pongono limite al loro impegno anche a rischio della vita. Mi riferisco ovviamente a medici e paramedici, ma anche alle forze dell’ordine, a chi comunque è impegnato a fornire servizi essenziali, al personale che cura a casa i nostri anziani e deve garantire loro i rifornimenti e l’assistenza. Si potrebbe continuare, ma gli esempi sono davanti a tutti noi.
  • L’appartenenza all’Unione europea. È sembrato che la nuova Commissione guidata da Ursula von der Leyen rispondesse con ritardo, anche perché finora gli Stati nazionali hanno difeso in tutti i modi i loro poteri in materia di politiche sanitarie. Ma questa esperienza può contribuire a cambiare l’Europa. Finalmente, di fronte al blocco dell’economia, la reazione di Bruxelles c’è stata, con l’autorizzazione all’Italia ad andare al di là dei limiti di bilancio pattuiti. Bisogna comunque attingere fondi dai mercati e le infelici dichiarazioni di ieri di Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea (Bce) hanno contribuito a provocare il tracollo dei mercati, l’impennata dello spread e una dura e giusta reazione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Probabilmente la Bce dovrà correggere il tiro. In ogni caso, se fossimo fuori dall’euro e dall’Unione dovremmo contare solo sulle nostre capacità di finanziarci e il costo del debito andrebbe alle stelle.
  • Il senso di comunità, una volta compreso il problema. Non c’è da stupirsi che ci sia voluto un po’ di tempo, per un popolo così attaccato alle libertà individuali, dedito secondo i sociologi al “familismo amorale”. Tuttavia, le strade vuote delle città ci raccontano di una collettività che (almeno per ora) riesce a raggiungere un punto di coesione. Con qualche denuncia e qualche multa, certo, ma senza bisogno di ricorrere al riconoscimento facciale e al taser contro chi esce di casa come avveniva in Cina nel picco della crisi.
  • La voglia di sperimentare soluzioni nuove. I numerosi casi positivi nel campo dello smart working dimostrano che queste soluzioni, se gestite con intelligenza, possono alleggerire il peso del traffico, dell’inquinamento, aumentare la produttività e, potenzialmente, migliorare la qualità della vita collettiva e individuale. C’è anche una grande attenzione all’insegnamento on line, come dimostra la grande risposta alle iniziative dell’ASviS in questo campo, dal corso e-learning sullo sviluppo sostenibile al volume “Un mondo sostenibile in 100 foto” liberamente scaricabile da professori e studenti delle secondarie superiori. Davvero c’è da sperare che le numerose esperienze di questo periodo consentano di ragionare su un modo nuovo di lavorare e anche di gestire le nostre città.
  • La flessibilità del nostro sistema imprenditoriale. Se si riuscirà a evitare che questa crisi lo ammazzi, il sistema delle imprese è capace di metterci di fronte a un nuovo “miracolo” alla fine di questa pandemia. Da sottolineare anche l’impegno specifico in questa crisi: le donazioni da parte delle aziende più importanti, i miracoli in corso per moltiplicare la produzione da parte dei nostri produttori di attrezzature sanitarie.
  • La sensibilità della società civile organizzata di fronte alle nuove sfide. Il Paese dispone di importanti strutture di volontariato (molte delle quali collegate all’ASviS) che hanno già percepito chiaramente i rischi di uno sviluppo non sostenibile e che sono pronte a fare tutto quello che serve per sensibilizzare l’opinione pubblica verso scelte utili per evitare il ripetersi di crisi globali.

Certo, per affrontare le vulnerabilità e costruire sulle resilienze ci vuole un soggetto capace di guardare avanti, dotato del potere per prendere le decisioni necessarie. Nelle conclusioni dell’articolo sull’Espresso, Giovannini suggerisce una via.

… le “unità di crisi” italiana ed europea (che suggerisco di chiamare “unità di resilienza”) dovrebbero usare un approccio sistemico al problema, mobilitando le tante intelligenze di cui dispone il nostro Continente nei vari campi e decidendo i singoli interventi anche in funzione del futuro che vogliamo costruire, non solo dell’emergenza che dobbiamo affrontare oggi. Sarebbe un segnale forte per una popolazione disorientata e spaventata.

Nei prossimi mesi lavoreremo su questi temi, con la bussola dell’Agenda 2030 che ora più che mai è la cornice nella quale costruire il mondo che verrà dopo questa pandemia. Ieri il presidente dell’ASviS Pierluigi Stefanini e il portavoce Giovannini hanno diffuso un messaggio che annuncia il rinnovato impegno dell’Alleanza in questi mesi e le nuove modalità nelle quali si svolgerà il Festival dello sviluppo sostenibile.

Qui però vorrei sottolineare un altro aspetto, che riguarda la nostra comunità ASviS. Il Segretariato si attiene strettamente all’invito del governo a restare a casa, anche in isolamento volontario perché una persona del nostro gruppo è risultata positiva al tampone. Ma sta bene. Questa modalità di lavoro ha rinsaldato i nostri legami, il senso di combattere una battaglia comune, di essere utili alla collettività che ci ascolta, costituita dai milioni di partecipanti ai soggetti aderenti, dalle imprese e dalle istituzioni che supportano le nostre attività. Nelle prossime settimane renderemo ancora più proficuo questo dialogo dando spazio alle iniziative, alle raccolte di fondi, alle riflessioni di chi è partecipe di questo impegno.

Non posso chiudere senza un’altra annotazione. In condizioni normali la newsletter di questa settimana avrebbe trattato temi ben diversi, perché l’8 marzo si è celebrata, seppure in forma anomala, la Giornata internazionale dei diritti della donna. Non ce ne siamo dimenticati: basta dare un’occhiata al nostro sito per vedere quante notizie e quanti studi abbiamo raccolto e presentato sulle condizioni delle donne nel mondo. Non si può lavorare sulle vulnerabilità, non si può costruire sulle resilienze senza porre la massima attenzione alla condizione femminile in Italia, perché le donne non hanno ancora un ruolo adeguato nella vita collettiva. Quando lo ottengono, dimostrano che il loro contributo è indispensabile per costruire un futuro diverso.

di Donato Speroni, responsabile della redazione dell’ASviS

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