Lost in BusinessCERCASI Manager. Sede di lavoro: Ovunque. (E altre riflessioni sparse sulla vita e sul lavoro che verrà)

L'Effetto Grotta è dietro l'angolo. Ma non si tratta di restare in casa o lavorare da casa. Si tratta di pretendere che nulla cambi mai.

L’altra sera un mio carissimo amico mi ha inviato un messaggio contenente un link e una faccina in lacrime dalle risate. Il link riportava alla dichiarazione di Sala, sindaco di Milano, al suo richiamo al “basta smart working, torniamo al lavorare”. Sul serio.

Il mio amico sono anni che mi prende per il culo dicendo che il mio non può essere considerato un lavoro. Per tanti motivi. Ma soprattutto perché per lavorare non esco di casa.

Devo dire che in questo riconosco che il mio amico non abbia tutti torti. Sulla dichiarazione di Sala c’è invece molto da dire e infatti molto è stato detto.
Per me però l’aspetto più interessante di questa storia, al di là delle parole scelte, del tono poco attento, e di tutta la dietrologia che amiamo fare, è che come spesso accade siamo intenti a guardare il dito anziché la luna.

Il punto non è continuare a dare i voti al lavoro da casa o in ufficio. È molto più interessante provare a immaginare cosa accadrà davvero. Cosa sta già succedendo intorno a noi. Che lo si voglia o no.

Tutti in concorrenza

In una riunione Zoom ogni persona si trova alla stessa distanza, fatta di pixel e non più di km. La pandemia e la minaccia di un suo ritorno, in una o in un’altra forma, accelererà la scissione tra posizione fisica / lavoro. Se questo succede significa che saremo tutti in concorrenza, che le aziende abbracceranno con maggiore frequenza l’esternalizzazione delle competenze. E sì, come si dice da anni, diventeremo tutti freelance.

È chiaro che non tutti i lavori possano essere delocalizzati ma i dati dicono che siamo sulla buona strada: in America si calcola che il 25% sia perfettamente “remotizzabile” e il 50% in buona parte; la pandemia, anche nel nostro paese, ha già fatto testare modalità di lavoro per molte categorie sin a prima impensabili.

Per le aziende e la loro “caccia ai talenti”, significa che il bacino dal quale attingere diventa adesso il mondo.

Per buona parte delle persone significa iniziare ad abbracciare una vera cultura competitiva in cui il rischio assume tutto un altro significato.

Potremmo assistere ben presto a una globalizzazione dei servizi, come già accaduto per la produzione. Con in palio, per dirla con Yuval Noah Harari, la rilevanza.

“Molti potrebbero non condividere il destino dei conducenti di carrozze del XIX secolo – che passarono a guidare i taxi – ma bensì quello dei cavalli del XIX secolo, che furono gradualmente espulsi dal mercato del lavoro.” Yuval Noah Harari

Nuovi lavori, nuovi tempi, nuovi luoghi

Nel 1967, Philco, azienda americana tra le principali produttrici di radio e televisori, creò un documentario per festeggiare il 75 ° anniversario dell’azienda mostrando come l’elettronica avrebbe cambiato le nostre vite entro il 1999.

In 1999 AD si ipotizzava che le persone avrebbero fatto buona parte delle attività quotidiane a contatto e grazie alla tecnologia. Che vi sarebbero stati grandi televisori al plasma, forni a micro onde e alimenti surgelati da cuocere in un attimo. I personal computer, da enormi e costosissime macchine, sarebbero diventati sempre più piccoli. Portatili. E una volta che da queste apparecchiature avremmo potuto fare così tante cose: controllare il saldo bancario, ordinare cibo, disegnare, fare calcoli… finalmente avremmo potuto anche lavorare da ogni parte del mondo.

Sarebbe successo così che le persone non avrebbero avuto più bisogno di vivere per forza nelle città e ciascuno avrebbe potuto scegliere di vivere nel posto più congeniale: in mare, in montagna, su un’isola.
Ed eccoci ad oggi: anno 2020 dc. E dopo pandemia. Moltissime delle previsioni si sono avverate. Siamo chiamati a quest’ultimo punto: possiamo lavorare da dove vogliamo? Possiamo progettare la nostra vita sulla vita anziché sul (luogo di) lavoro?
Per rispondere servirebbe un libro e probabilmente dovranno passare ancora molti anni.

Ci sono però due riflessioni che potranno diventare molto attuali.

La prima è che la fuga dalle città e dalle città più in vista potrebbe avere solide basi economiche. Con perdita di lavoro, ridimensionamento dei salari, vivere a Milano per citare “la città” per eccellenza, potrebbe essere un lusso inutile per pochi. Ecco, dunque, che necessità e virtù potrebbero ridisegnare la geografia del lavoro.

*Su Repubblica, Jaime Alessandro, ha scritto in proposito un pezzo molto interessante.

La seconda riflessione è che il luogo di lavoro, inteso come residenza, potrebbe anche rientrare nel modello di business di ogni individuo.

Continua ad esempio a fare discutere la strategia condivisa da Mark Zuckerberg relativa allo smart working, in particolare un trattamento salariale diverso a seconda del luogo in cui si vive. In soldoni: se lavori in un posto dove la vita costa poco, l’azienda ti pagherà di meno.

Non sappiamo se e come accadrà davvero ma in realtà sta già succedendo. Su Fiverr, tra i più famosi marketplace del lavoro freelance, un grafico pakistano, anche a parità di competenze, si può assumere in modo molto più vantaggioso rispetto a un suo collega londinese. Ancora una volta, potremmo assistere a quanto ormai abbiamo preso per consolidato con il sistema produttivo: compra/fai/produci dove costa meno.

Questo potrà portare a ulteriori diseguaglianze. Ma anche a scelte di tipo strategico, da parte tanto delle aziende che dei lavoratori.

Le nuove case e il futuro

Infine, tornando a da dove avevamo iniziato, alle dichiarazioni del sindaco Sala, dobbiamo tutti fare attenzione all’effetto grotta.
Ma l’effetto grotta non è stare o lavorare da casa. È pensare al futuro alla luce di ciò che è successo e di ciò che non è ancora successo.

Oggi, specie in Italia, soffriamo di evidenti limiti in termini tecnologici. Le infrastrutture sono il vero limite di un lavoro davvero Smart. Così come le nostre case, per la maggior parte, non erano pronte e pensate per fare convivere le esigenze dei loro abitanti: tra bambini in lezione virtuale e coniugi impegnati in riunioni perenni.

Ma questo è ciò che è stato. Non ciò che sarà o potrebbe essere.
Le case stanno già iniziando ad essere ripensate. Con spazi diversi e nuovi: come spazi di decontaminazione, più ambienti esterni e vere e proprie “zoom rooms”.
Non significa che sarà tutto digitale e che sarà la morte degli incontri fisici e del lavoro in presenza. È solo il segnale che ci può essere qualcosa di diverso.

È un mondo nuovo. Un nuovo inizio. E le cose cambieranno.

A presto, Davide

p.s. Per seguirmi e rimanere aggiornato visita anche davicardi.com

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