#Tsurezuregusa“Come un sushi fuor d’ acqua” di Fabiola Palmeri – recensione e intervista

Il fascino di Tokyo e del Giappone ha una lunga storia. Ben prima che il Sol Levante diventasse una delle mete turistiche più gettonate, l’oriente era già oggetto di sogno e desiderio. Lo racconta bene Fabiola Palmeri nel suo romanzo d’esordio Come un sushi fuor d’acqua (La Corte Editore 2019, 272 pp . 17.90 euro) nel quale narra l’avventura di Bianca, una giornalista torinese che decide di traferirsi a Tokyo negli anni ’80. In quel periodo arrivare in Giappone non era cosa facile: da un lato c’erano i costi esorbitanti, il cambio lira-yen rendeva quel paese inaccessibile ai più; dall’altro c’era la difficoltà di trovare un lavoro che potesse permettere di restare (ancora oggi è così). Questo è però ciò che riesce a fare Bianca, la protagonista di questo romanzo, che nonostante le difficoltà resta in Giappone e si costruisce una vita nella capitale giapponese. Bianca è affascinata da Tokyo, una città incredibile, piena di energia, che la riempie di gioia e la rende felice già solo per il fatto di esserci. Parallelamente il romanzo narra la storia di Celeste, una teen-ager figlia della globalizzazione, forse meno romantica di Bianca, e che racconta la stessa città con occhi diversi. Come un sushi fuor d’acqua ci racconta un po’ la storia di tutti noi che per motivi diversi abbiamo finito per frequentare Tokyo e il Giappone. Gli anni ’80 sono lontani ma ogni tanto è bello ricordare di quando tutto non era poi così facile: proprio come oggi.

Il libro che hai da poco pubblicato per La Corte Editore, prende spunto dalla tua esperienza in Giappone. Perché hai deciso di raccontare la tua storia? Il mio lavoro di giornalista mi porta a dare voce alle storie degli altri ma ad un certo punto ho sentito il desiderio di mettere al centro del racconto me stessa. Alla fine deli anni ’80  l’incontro con un Paese complesso come il Giappone è stato affascinante e coinvolgente, e ha segnato la mia vita. Con Tokyo rimane un legame speciale, che non si cancella nemmeno adesso che sono tornata a vivere in Italia. Da un altro punto di vista è stata anche una prova di stile: scrivere finalmente senza una scadenza o contando il numero di battute è stato emozionante.

Bianca, la protagonista della ti assomiglia molto. Quale pensi sia l’importanza del racconto autobiografico nell’ambito della letteratura?  All’inizio non sapevo esattamente cosa ne sarebbe stato della trama. I personaggi e le vicende che mi affollavano la mente desiderando uscire erano tanti. Presto però le due protagoniste umane sono emerse, Bianca e Celeste. Sebbene il romanzo che ho scritto attinga a molte esperienze che ho vissuto, non si tratta di un’autobiografia perché non tutto ciò che racconto è “vero”, nel senso che non tutto appartiene alla mia esperienza diretta. L’autobiografia risponde alla necessità di fare il punto della propria esistenza, farla conoscere nei minimi particolari ad un pubblico interessato. Viceversa, c’è spesso nei romanzi molto della vita di chi li scrive, senza per questo diventare un’ esposizione accurata di se stessi. Nel mio caso protagoniste e personaggi, vicende e percorsi, dicono di me ma non del tutto. Avevo bisogno di trasmettere emozioni e accadimenti attraverso qualcosa che avevo visto, sentito profondamente, fatti di cui sono stata testimone direttamente, altri per interposta persona. Metto le protagoniste di fronte a  esperienze di cui mi faccio carico, assumendone le risposte emotive, dai turbamenti alle conquiste. Così la storia non è mia, ma diventa loro. Quello che a loro accade è nel racconto e lì rimane.

Il tuo libro è ambientato alla fine degli anni ’80. Quanto è cambiato e come il Giappone in questi anni? Il Giappone degli anni ’80 è quello che mi ha accolto e folgorato, ancor prima di atterraci veramente. L’incontro effettivo, poi, non ha fatto che confermare ed ampliare quella che era solo una fascinazione. La Tokyo di quegli anni era il posto più eccezionale al mondo, la città dove tutto accadeva prima e meglio che nel resto del pianeta. Quel Giappone non c’è più, perchè tutto cambia ed evolve, non sempre in meglio. Ma i ricordi sono importanti, ed il passato da forma sia al presente, sia al futuro. Alla fine degli anni ’80 il Giappone sperimentava il successo economico ed industriale. L’influenza culturale si stava ampliando, anche se era ancora di nicchia. Le persone condividevano codici di comportamento sociale funzionali e per chi come me arrivava dall’Italia quell’ordine armonico e la sicurezza che ne derivava era davvero fantascienza. Col tempo e l’esperienza ci si accorge che non tutto è così perfetto come ci è sembrato all’inizio. Il Giappone odierno sperimenta, come il resto del mondo così detto avanzato, difficoltà di crescita e cambiamenti nel tessuto sociale difficili da gestire. Per me tuttavia, tornarci significa sentirmi a casa, essere accolta se non dalle persone – che in parte hanno cambiato umore e perso fiducia nel sistema-  senza dubbio dalla città.

Il titolo del libro si rifà a una idea di estraniamento, che spesso viene associata al Giappone. E’ davvero così il Giappone? Il titolo l’ho scelto in un attimo, anzi è venuto addirittura prima della storia. Lo straniamento e il senso di non appartenenza, che è poi il tema centrale nel romanzo, non è causato da Tokyo o dal Giappone. Per lo meno non solo. Lo straniamento deriva dallo scontro di due sistemi di valori. La nostra formazione e la nostra cultura ci fa percepire come estraneo tutto ciò che anche solo un poco si discosta dal conosciuto. Bianca e Celeste sono due “Sushi fuor d’acqua” anche in senso positivo, perché trovarsi nella posizione di chi non è completamente integrato consente la ricerca, aumenta la voglia di approfondire. Il Giappone è quello che è, e chi lo definisce strano, diverso, impenetrabile, misterioso, proietta la propria difficoltà di comprensione e non va oltre. Per conoscere il diverso sono necessarie disponibilità e umiltà, tempo e dedizione. Questo vale sempre, per luoghi, persone e cose.

Il libro racconta due storie parallele, quella della protagonista e quella di una ragazza che è “figlia della globalizzazione”, nata in Giappone da una coppia di stranieri. Raccontaci un po’ questa figura. Celeste in quanto adolescente dei nostri giorni con più appartenenze culturali, si trova a fare i conti con una società paradossalmente più chiusa e perbenista di quella degli anni ’80. Statunitense e italiana, nata a Tokyo dove ha vissuto fino ai cinque anni, è una ragazza sedicenne diversa e uguale ai suoi coetanei. Specialmente a quelli che hanno famiglie allargate e sparse per il mondo. Inoltre, essere “half” o “mezzosangue” è attualmente un problema in Italia come in Giappone, negli Stati Uniti come in Gran Bretagna. I concetti di famiglia, inclusione, tolleranza, uguaglianza, accettazione, stanno attraversando una fase complicata e questo si riflette su chi sta crescendo. Celeste è solo un esempio molto particolare di una situazione più ampia e condivisa. Raccontando della città e del suo rapporto con il padre, parla a tutti quei ragazzi che le assomigliano.

L’altra grande protagonista del tuo romanzo è Tokyo. Cosa è stata e cosa è per te questa città? Tokyo è la mia città elettiva, il luogo che ho scelto e in cui sono in qualche modo “rinata” perchè lì ho ricominciato a esistere. Mi ha regalato due esistenze, educato a nuove modalità gestuali, linguistiche e di pensiero, ha aperto la mia mente ed equilibrato opinioni e ideologie. Ci ho vissuto per quasi quindici anni e ogni volta che ne ho la possibilità ci torno sapendo che scoprirò qualcosa di nuovo: un quartiere dove non ho mai messo piede, nuovi edifici, persone e cose. Credo anch’io che sia lei la vera protagonista del libro. L’amore che condisce gli avvenimenti è dato da questa città meravigliosa e contemporaneamente tiranna. Tokyo ti costringe a interminabili code, spostamenti in treno e a piedi, obbliga alla ripetitività che può condurre all’alienazione. Il trucco è non lasciarsi andare alla consuetudine ma seguirla nella sua continua evoluzione. Ne vale assolutamente la pena .

 

 Fabiola Palmeri

Dopo la laurea in filosofia, inizia la sua carriera come giornalista lavorando prima a La Stampa e poi alla NHK di Tokyo, dove ha vissuto per dodici anni. Accreditata come una delle massime esperte di cultura giapponese in Italia, oggi scrive per La Repubblica e per alcune delle più importanti riviste italiane come Il Venerdì e Gambero Rosso, di arte, libri, stie, cibo e società nipponica. Conduce anche gruppi di lettura dedicati ad autori giapponesi al Mao e al Circolo dei Lettori di Torino e di Novara.