E(li's)booksManodopera di Diamela Eltit

Le perversioni del tardo capitalismo.

Oggi racconto  Manodopera dell’autrice cilena Diamela Eltit

Il libro

L’anonimo dipendente di un supermercato racconta le sue giornate tra i corridoi e gli scaffali, descrive il feticismo delle merci, il controllo sui corpi, gli effetti inesorabili di un mondo dove tutto si vende e si compra.
Ad accompagnarlo ci sono altre voci, più riconoscibili: Isabel, Gloria, Enrique, Gabriel, Sonia, Andrés, Pedro, conviventi forzati di uno spazio che non può dirsi casa, dove l’empatia della condivisione è soppiantata dalle logiche ciniche della sopravvivenza, dove ciò che conta è la tirannia del contratto, l’oscenità del turno, il licenziamento di massa, l’occhio implacabile del supervisore; dove il corpo è l’ultimo vestigio di un’irreversibile degradazione.

La mia lettura

El despertar de los trabajadores [ Il risveglio dei lavoratori – Iquique, 1911]

Verba Roja [ Parole Rosse – Santiago 1918]

Luz y vida [ Luce e vita – Antofagasta 1909]

Autonomia y solidariedad [Autonomia e solidarietà – Santiago 1924]

El proletario [ Il proletario – Tocopilla 1904]

I titoli dei capitoli, questa è la prima cosa che mi ha incuriosita appena ho cominciato a leggere Manodopera della scrittrice cilena Diamela Eltit, il libro è del 2002, arrivato solo ora in Italia grazie alla casa editrice Alessandro Polidoro a cui vanno i miei complimenti per aver scelto di tradurlo.

Manodopera è diviso in due parti, la prima (è la mia preferita) è un lungo monologo di un uomo di cui non conosciamo il nome, sappiamo solo che lavora in un supermercato, i titoli che vi ho copiato sopra sono quelli dei primi capitoli della prima parte e fanno riferimento ai reali titoli di alcuni giornali cileni che davano notizia delle rivendicazioni dei lavoratori. Come potete notare si riferiscono ad anni differenti quindi attraverso questo stratagemma l’autrice arriva a tracciare una piccola mappa delle condizioni della classe operaia cilena quando ancora sembrava possibile la realizzazione del sogno socialista.

La storia che invece fa da sfondo a questi titoli è la presa di coscienza del fallimento di quel sogno, celebra infatti “Le perversioni del tardo capitalismo”.

Il supermercato di Manodopera è l’emblema di quel nuovo potere che riesce a soggiogare il popolo con l’abbondanza, con l’offerta di cose non indispensabili che rappresentano la civiltà libera moderna.

Il consumatore è il protagonista di Manodopera, il commesso del supermercato è il nuovo schiavo, quello che deve lavorare 24 ore al giorno senza straordinari, subire i capricci del “cliente che ha sempre ragione”, il controllo dell’occhio vigile del “supervisore”:

Non è da me disprezzare il calore palesemente falso del cliente e me che meno polemizzare sulle sue moine senza scrupoli. Anche se, ovviamente, so bene che dietro all’allegria e alle buone maniere con cui mi si rivolge, si nasconde un piano smanioso per danneggiarmi e sottopormi all’osservazione assoluta dei supervisori o all’occhio ancor più specializzato della telecamera”.

Non so perché leggendo queste parole mi è venuta in mente la “big allucination” l’ “electronic eyes” e … “ I never had the nerve to make the final cut”, forse perché ad un certo punto il protagonista di questo monologo che vive un tempo scandito dalla sistemazione delle merci sugli scaffali, che ha una memoria degli odori che è quella del reparto ortofrutta, ad un certo punto perde la memoria e realizza quanto sia diventato impossibile trovare nella sua condizione una dignità e resistere alla nuova oppressione perpetrata ai danni dei lavoratori come lui.

E’ una lettura che spezza il fiato, l’anonimato qui è la cecità di “Mila” il film del regista greco  Christos Nikou (Venezia 2020), l’automatismo dei gesti e lo scorrere del tempo finiscono per abrogare ogni identità a favore di una “democratica” fecondazione omologa che porta alla grande farsa del mondo libero e moderno.

Il Natale sta per arrivare. […] Sono sul palco del presepe, in piedi, e incito con la mia fede i compratori. […] mentre la donna (una delle ultime cassiere) seduta a fatica su un piano di vimini regge in grembo l’insignificante Dio di plastica. (La plastica del bambino è della peggiore qualità). [… ] Bevo di nascosto […] al fine di mantenere vivo per tutta l’eternità possibile questo teatrino commissionato dallo stesso Dio nell’incerta commemorazione della sua illustre nascita. Nel supermercato, ovvio, in quale altra circostanza, del resto, avrei potuto guidare questa misera gloria che mi è stata concessa”.

Ci sono numerose parentesi nel testo e alcuni periodi vengono interrotti portando accapo il testo senza l’ausilio di un qualche segno di punteggiatura, sono espedienti efficaci perché danno alla lettura il ritmo che vuole l’autrice.

Io detesto i supermercati, e detesto fare la spesa, è proprio vero che tra quelle corsie, sotto quelle luci, tra quegli scaffali si finisce per riconoscere un mondo familiare infido e non voglio stare qui adesso a sproloquiare sul consumismo di cui sono figlia, non è quello, è la premeditazione che spaventa.

Mi spiego: oggi si identifica il male assoluto in tutto ciò che è tech, ma cos’è la “gdo”? “La forza della convenienza”, quella che ci ha abituati alla medocrità ben presentata.

La seconda parte di Manodopera invece ci presenta una singolare “comune”, un gruppetto di dipendenti di un super che decidono di vivere insieme per spendere meno.

I titoli di questa seconda parte, hanno toni da settimanali scandalistici o da free press, in ogni caso fanno riferimento alla contemporaneità che tende ad enfatizzare un evento usando toni ammiccanti e sensazionalistici:

Il complotto di Gloria

Gabriel è vivo

Lo schifo e la nausea

Qui ad essere insidiato è l’ambiente domestico che diventa il “mondo altro” per i protagonisti che passando dalle corsie e dagli scaffali del supermercato alle stanze della casa  si portano dietro quel che sono per otto ore al giorno, ecco quindi che Andrés pretende di sistemare la casa come gli scaffali o Enrique, odiato dal capo sul lavoro e vessato quotidianamente, in casa fa il bello e cattivo tempo disponendo degli spazi e spostando i colleghi/inquilini da una parte all’altra come risposta ai soprusi ricevuti ed ecco, ho un’altra visione ( arriva sempre dalla stessa parte):

“ If you don’t eat your meat, you can’t have any pudding.

How can you have any pudding if you don’t eat your meat?”

E’ un ricatto continuo, sul lavoro e in casa e la ricompensa è sempre misera cosa.

L’alienazione del protagonista anonimo del monologo della prima parte qui la troviamo identica negli inquilini di questa casa che rappresentano la caricatura dell’istituzione familiare, non c’è solidarietà tra loro, non c’è affetto.

Un libro impossibile da ignorare, un’autrice che non avevo mai letto ma che voglio scoprire meglio perché la sua scrittura è magnifica, perché racconta con una lucidità feroce, con un linguaggio sbrigativo e costruisce personaggi la cui interiorità è carne viva sotto gli occhi del lettore, spettatore muto che a occhi sbarrati aspetta la fine.

Molto bello.

Manodopera di Diamela Eltit e traduzione di Laura Scarabelli
Alessandro Polidoro editore
Pagine: 168
€16,00

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