Ho “scoperto” Andrea Careri leggendo il suo libro La mia New York, una “guida” della città molto particolare dal momento che è organizzata tenendo conto di tutti i posti in cui ha vissuto o che ha frequentato, basata quindi sulle sue esperienze personali, trovate la mia recensione QUI.
Andrea è di Roma ma vive negli USA (prima era a New York, ora a Los Angeles), fa lo sceneggiatore e se volete vedere un suo lavoro guardate Mem 39 che potete trovare sul network americano “Cideshow”.
Recentissimo invece è “Trump & Mario” che l’autore ha definito “un lavoro di finzione e satira” lo trovate QUI
Questa invece è una breve intervista su “Un giorno senza Kobe” che trovate QUI.
Il libro
La tragedia che il 26 gennaio 2020 ci ha privato di una delle icone sportive più potenti e amate di tutti i tempi ha generato un vero e proprio terremoto di dolore, e Los Angeles, la città di cui Kobe Bryant era indiscutibilmente diventato il re, non può che essere l’epicentro di questa onda emotiva. Una raccolta di short stories incentrate sulla vita di Kobe, e altre ventiquattro in cui i protagonisti vivono in quella maledetta domenica un turning point determinante delle proprie esistenze. Otto e ventiquattro, come i numeri delle maglie dei Lakers indossate da Bryant. Racconti di una dolente città degli angeli dai quali emerge quanto la famosa Mamba mentality e la forza trascinante di Kobe siano state un punto di appiglio per tanti, in un contesto segnato dagli elementi più tipici dell’alienazione urbana, droga e depressione su tutti.
L’intervista
1 Kobe Bryant è l’emblema perfetto della resilienza sportiva, in cosa ti senti vicino a lui?
La resilienza è una dote importante, che ammiro. Sono caduto molte volte e ho sempre avuto molti ostacoli, anche per via dei miei obiettivi molto alti e difficili da raggiungere. Quello che conta nella vita è sapersi rialzare. Tanto prima o poi si cade. E se non si cade e non si fallisce: vuol dire che non si sta vivendo veramente, che non si sta rischiando. Io amo rischiare, ho perso tutto, perderό di nuovo, ma so che non mollerό mai. Questo fa parte del mio carattere, ma devo dire che sono riuscito a tirare fuori il coraggio di fallire e la gioia di sapermi rialzare grazie alla pratica buddhista di Nicherin Daishonin. Si conosce come Nam Myoho Renge Kyo, sembra una moda, o una cavolata, ma vi assicuro che non è così. In me coabitano la tendenza alla depressione, l’insicurezza e una grossa forza di volontà e resilienza. Con la meditazione buddhista, recitando Nam Myoho Renge Kyo, riesco ad illuminare la parte positiva e a non arrendermi mai. E soprattutto riesco a godermi il percorso, che poi è la cosa che conta di più. Ultimamente ho smesso di praticare, e proprio per questo motivo posso confermare quello che ho detto prima. Meditare ogni giorno cambia la mia vita e, anche se non risolve i problemi, aiuta a viverli meglio e a non considerarli come tali. Purtroppo ho anche un grande lato oscuro e quindi non è facile lottare contro me stesso e i miei demoni. Tornando alla domanda, sicuramente sono una persona “resiliente”, ambiziosa, che cerca di lavorare duro per raggiungere i suoi sogni. Mi piace dare il 100% ( sono frustrato quando non dό il massimo) e non amo trovare scuse. Infatti durante la pandemia mondiale non mi sono arreso, ho scritto e pubblicato quattro libri e creato una serie tv che si puό vedere su uno streamer americano.
2 Quando parliamo di Kobe parliamo di un uomo con pregi e difetti, tu cosa pensi della sua abitudine di “catalogare” i compagni meno talentuosi di lui come “quick learners” o “intelligent idiots”?
Quando uno dà sempre il massimo e si impegna per superare i suoi limiti personali, trova frustrante che quelli che lavorano con lui non si impegnino abbastanza. Diciamo che Kobe era ossessionato dal basket ed era uno stakanovista, sicuramente altri suoi compagni di squadra non avevano la sua stessa grinta e la sua stessa work ethic. Era Kobe ad essere eccezionale, e quindi come l’ albatro di Baudelaire, era un incompreso. Poi sinceramente credo che fosse un modo per stimolarli e spingerli a dare il massimo. Nessuno è perfetto.
3 A chi si rivolge questo tuo scritto?
A chi ha un sogno da realizzare; A chi si ẻ arreso o si sta per arrendere; A chi ha paura di fallire; A chi ama l’America, Los Angeles e il basket; A chi ama la vita ma allo stesso modo ne ha paura.
4 Maurizio, uno dei protagonisti dei tuoi racconti è un tuo concittadino, come te scrive sceneggiature ma si è arreso, dice di aver trovato a Los Angeles le stesse “storture” che ci sono in Italia nel mondo del cinema. Mi racconti tutta la faccenda di “You are fired”? Cosa è successo esattamente?
Maurzio ẻ uno dei tanti protagonisti di questi episodi ( non ẻ un caso che uso un termine televisivo, dato che Un giorno senza Kobe è strutturato come una serie televisiva ad episodi, limited series, tutti ambientati nel giorno della morte di Kobe Bryant.) Ovviamente in tutti i racconti che ho scritto c’è un poco della mia biografia e delle storie delle persone che ho conosciuto e incontrato durante il mio cammino. Io non sono Maurizio, ma sono scappato da Roma anche per scappare dal ambiente del cinema romano, nel quale non riuscivo a trovare una indipendenza economica e una realizzazione professionale. Los Angeles non ẻ come Roma, in questo senso, soprattutto Hollywood, dove mi sento a mio agio a parlare del cinema e della tv come se fossero un lavoro e un business come un altro. Devo dire che grazie al cinema romano sono finito in America e ho iniziato a costruire, con tanta fatica, la seconda parte della mia vita. Sono rinato a trenta anni, quando mi sono trasferito a New York e sono ripartito da zero. (Racconto la mia esperienza nel La Mia New York- vivere nella città che non dorme mai.) Maurizio, come me, e come tanti altri, ha pensato di smettere. Ma alla fine smettere è facile, arrendersi è facile, provarci veramente è molto più difficile. Io non sono mai stato licenziato a Hollywood, mi è capitato in Italia, dove sono stato fatto fuori solo perchẻ ero troppo giovane. Ma essere licenziati o licenziare (mi è capitato anche di licenziare) fa parte della vita, e qui in America è abbastanza normale. Tutti possono essere licenziati. Sono stato licenziato e ho fallito tante volte, ma sono ancora qua e quest’anno ho pubblicato quattro libri e sono l’unico italiano ad aver venduto uno show direttamente a un canale americano senza passare per coproduzioni o network europei. I giornali italiani non ne hanno parlato, perchè non sono un nome, ma è un fatto. Qualche produttore italiano giovane e di talento si è accorto di me e ha valorizzato le mie idee, ma purtroppo non ci sono ancora le condizioni giuste per creare quello che ho in mente. L’ Italia ha dei limiti, e forse ancora non è pronta per Alibi, una serie molto forte che ho scritto e ideato per il mercato internazionale, ma che è in lingua italiana ed ambientata a Roma.
6 Qual è il fil rouge, oltre a Kobe, che collega le storie che racconti in questo libro?
Sono tutte persone che hanno smesso di sognare, che si stanno per arrendere. Qui a Los Angeles ci sono molte persone depresse, molti sono venuti inseguendo un falso mito come il successo. Il successo è una cosa abbastanza futile e chi crede che possa colmare vuoti o rendere felici poi si scontra con una grossa disillusione. In questo senso Los Angeles assomiglia a Roma. Si respira un senso di morte e di depressione generale, che Sorrentino ha descritto benissimo nel La Grande Bellezza. Se uno scrive o recita solo per il successo, non potrà mai essere felice. Io valuto molto il lavoro e il guadagno, non perchè sono avido, ma perchè sono concreto. Ma non scrivo per diventare milionario, scrivo perchè non posso fare a meno di farlo. I soldi sono solo un mezzo per continuare a scrivere mantenendo un tenore di vita medio. In Un giorno Senza Kobe parlo del senso della vita e della morte. Kobe qui era un “dio”, e la sua morte ha scioccato tutti. Mi sembrava un modo originale per rendere omaggio a Kobe. Lui ẻ sempre stato un motivatore e un vincente. Ed è stato in grado di trasmettere la sua mentalità e la sua visione della vita anche ai suoi fan e a chi gli stava vicino.
7 Come scegli gli argomenti dei tuoi libri?
Sono molto prolifico e versatile. Scrivo di tutto, dalla satira allo Sci-fi. Quest’anno ho deciso di raccontare gli USA, dato che mi sono trovato a vivere nell’America di Trump nel 2020 che passerà alla storia come uno dei periodi più difficili e neri degli Stati uniti.
8 In breve: perché consigli di leggere Un giorno senza Kobe?
Per capire meglio l’America e Los Angeles. Per passare delle ore piacevoli, per essere motivati e per apprezzare meglio la vita, dato che in quanto mortali non dovremmo mai darla per scontata.