#TsurezuregusaOkamoto Kidō, “Detective Hanshichi – Misteri e indagini nell’antica Edo” (ObarraO, 2019)

 

Basta leggere poche righe dei racconti polizieschi del detective Hanshichi, lo Sherlock Holmes giapponese, per restare invischiati nelle atmosfere affascinanti dell’antica Edo della metà del XIX secolo. Una città in fermento, popolata da samurai senza padrone, artigiani che per arrotondare fanno le spie della polizia, ricchi tappezzieri, danzatrici senza scrupoli, proprietari di bagni pubblici. Insieme ai crimini che di volta in volta si trova a dover risolvere, Hanshichi descrive la vecchia Edo, l’altra vera protagonista di questi racconti, una città che non è ancora Tokyo, ma che lo diventerà presto. Le piccole e grandi vie di shitamachi, “la città bassa” sono la cornice perfetta per raccontare gli ultimi bagliori di un’epoca che sta per scomparire, il periodo Tokugawa, e che nella narrazione dell’anziano detective, diventa un luogo pieno di ricordi e nostalgia. Un sentimento che oggi è più che mai presente nelle nostre vite e che ci fa sentire tutti un po’ come lui, un uomo “fuori tempo” che vive a cavallo tra due epoche, un passato ormai lontano e un futuro troppo diverso e complesso per sentire di farne parte.

Ogni racconto si apre con escamotage letterario, un siparietto in cui un giovane amico del detective va a trovarlo a casa sua e, bevendo e chiacchierando, gli fa raccontare storie del suo glorioso passato.  “In generale, però, noi eravamo conosciuti come okappiki, “detective””, dice in un racconto Hanshichi, velando la frase di un certo rimpianto.

Man mano che la lettura prosegue, le pagine si riempiono di nomi in disuso come “torimonochō”, il registro dei casi dove ogni ispettore, nel periodo Edo, annotava le proprie indagini o “shitappiki”  l’informatore locale. Da vero edokko, Hanchichi conosce Edo come le sue tasche, così come conosce i suoi abitanti e i loro vizi. Ogni qualvolta che si presenta un crimine, Hanshichi inizia le sue indagini ascoltando il chiacchiericcio della gente, che si mescola spesso alle credenze popolari. Nella vecchia Edo la superstizione convive col reale tanto da ispirare i titoli molto evocativi come quelli de Il fantasma di Ofumi, La maledizione della danzatrice, Lo stagno della cintura stregata. Non c’è però spazio per i fenomeni soprannaturali nella vita di Hanshichi che risolve i suoi casi grazie alla profonda conoscenza della psiche umana e a quella delle vie della città. 

Detective Hanshichi nasce nel 1916 dalla penna di Okamoto Kidō, già famoso sceneggiatore di teatro kabuki, ed è il protagonista di circa una settantina di racconti che vennero pubblicati dalla rivista popolare Bungei Kura fino al 1937, due anni prima della scomparsa di Kidō ( Il Club Letterario). Le avventure di Hashichi hanno continuato a godere di molta popolarità in Giappone anche dopo la morte del suo creatore, ed alcune di esse sono state portate anche sul palcoscenico. In Italia, queste storie bellissime e nostalgiche, che hanno aperto la letteratura giapponese al genere poliziesco, sono state pubblicate in due volumi da ObarraO, come traduzione dalla prima edizione inglese. Io mi sono presa la briga di tornare a leggerle proprio in questi giorni perché ogni tanto è bello sognare e, tuffandosi tra le parole, raggiungere un mondo orami scomparso.

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