La City dei TartariUn anno immobile – Storie pandemiche 2 – La panchina

La memoria di un anno fa ha un’immagine distinta nella mia testa: un nastro  di plastica a strisce diagonali, gialle e nere, sulle panchine di Wimbledon Common, per evitare alle persone di sedersi e di diffondere il contagio del Covid-19.

Fu quello il primo segno tangibile del lockdown che é rimasto nel mio immaginario, piu’ dei negozi chiusi, dei musei sbarrati, piu’ ancora della vita culturale e sociale azzerate, delle scuole chiuse e dei ristoranti diventati rosticcerie da asporto.
Per chi conosce il mondo anglosassone, le panchine sono l’equivalente di piccole piazze di paese italiane. Posizionate in maniera strategica, per offrire viste particolari o riparo da vento e sguardi indiscreti, le panchine dei parchi, come le sdraio di St. James Park, sono quello spazio sacro, intimo e sociale. Come i pub.

Le panchine, spesso, trasmettono memorie minime: raccontano microstorie, con piccole scritte intagliate nel legno, o dediche su placche di metallo o plastica. Ci sono panchine dedicate a persone vissute 100 anni, che, probabilmente, ci passavano ore ed ore, a fare il pieno di sole e di vitamina D. Ci sono panchine dedicate ai cani o a famiglie intere. Ci sono frasi sibilline e dolci, che solo le persone che conoscono qualche altro dettaglio possono capire, come frammenti di un indovinello.

Le panchine sono un bene pubblico trasformato in ambito privato. O, meglio, un osservatorio privilegiato, dove, una volta seduti, il cuore rallenta il battito e da cui si possono ammirare le stagioni passare, le mode mutare come le nuvole e le generazioni avvicendarsi. Ci sono panchine anche dentro la City, la cittadella della finanza, in piccoli spazi verdi come Cleary Gardens o Salter’s Hall Gardens, con memorie romane, medievali, frammenti di chiese e di mura vecchie millenni. O negli spazi creati dalle bombe tedesche.

Giardini che appaiono all’improvviso, nell’intorno della vita della finanza. Ambienti curatissimi, sviluppati da architetti famosi, con panchine dove, nell’estate veloce e tiepida inglese, ci si recava, in tempi normali, non pandemici, a mangiare qualcosa, a parlare di cose di ufficio. In quelle prime settimane di lockdown, quell’immagine di panchine ‘chiuse’ é diventata un simbolo piccolo piccolo, personale, di quella liberta’ che abbiamo sempre dato per garantita, eliminata, ‘cordoned off’ con tanto di volantino in carta plastificata che sedersi su quella panchina era vietato, che era una questione di vita e di morte.

Vita e morte.

O un passato senza ritorno ed una piccola speranza che le cose possano cambiare di nuovo per il meglio. Un piccolo sacrificio, dicevano quelle strisce di plastica sulle panchine, un atto di eliminazione di minuscole liberta’ genetiche del popolo inglese. Le panchine perfettamente collocate per osservare, ergo influenzare, il reale erano vuote, o popolate solo dagli spettri di chi le aveva usate o volute in quel posto specifico.

Durante le settimane pandemiche, i cartelli e le strisce di plastica sono scomparsi. Ma le panchine sono rimaste vuote, dato che, dalla cauzione e dalla cautela dei cartelli plastificati, il timore era ora dentro di noi.

Solo qualche settimana fa, un cambiamento: una panchina che guarda verso il Common, un prato enorme dove nella bella stagione nidificano uccelli migratori e volpi solitarie passano indisturbate, con due ragazzi in piedi sopra. Davanti, a causa della pioggia, uno stagno di acqua che riflette cieli e nuvole. I ragazzi, li vedo, guardano davanti, verso un futuro che si deve annidare da qualche parte.

Parlottano. Io arrivo alle spalle e vedo questa foto perfetta che racconta di un mondo immobile in cui siamo sospesi fra cieli, mari e terre nuove. Congelati nelle speranze, ma ancora liberi di immaginare. Continuano a parlare, i due ragazzi. E uno dei due salta nell’acqua fredda, senza neanche stivali adatti. E comincia ad attraversare il piccolo stagno. Il secondo ragazzo indugia un attimo e lo segue. Ed io non riesco a fargli un’altra foto, perche’ é uno di quei momenti sacri che devono trovare uno spazio nelle sinapsi piuttosto che nella ‘nuvola’ elettronica. I ragazzi parlano, ridono ed attraversano lo specchio d’acqua.  Come se fosse tornato davvero il tempo di riappropriarsi dei nostri destini e di osare passi nuovi. Dopo un anno immobile, senza altra speranza che quella di far passare un altro giorno.

I due ragazzi, da osservatori dalla panchina, si sono ripresi tutti i rischi e le complicazioni del muoversi, l’acqua alta ai ginocchi in una giornata di freddo e di vento. E non riesco che far altro che seguirli con gli occhi, fino a quando sono dall’altra parte del Common, dentro la striscia di foresta che porta a Wimbledon Village, le scarpe mezze e ‘il cuore di simboli pieno‘. Il loro od il mio.

 

Soundtrack:

The Feelies – On the roof The Feelies – On The Roof – YouTube

Yo Yo Mundi – Andeira Yo Yo Mundi featuring Ginevra Di Marco – Andeira – YouTube

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