PromemoriaEcologia dei media

Nel saggio per Vita e Pensiero lo stimolo a riflettere qualità della nostra comunicazione nell'epoca dei media piattaforme

Come scriveva il drammaturgo Robert Musil,  la parola può fare grandi cose nella vita poiché  – comunicando –  si spalancano le porte fra gli individui e si costruiscono ponti  piuttosto che muri.

Con lo scambio comunicativo  avviene infatti quel dischiudersi dei sensi dell’udito e della parola,  e che un antico rito esplicativo battesimale chiama “effatà” (dall’ebraico apriti!) ovvero diventare respons-abili , idonei alla ricerca di senso e del  proprio posto nel mondo. Comunicare quindi struttura i pensieri e ci lascia  liberi di valutare, di trasmettere, produrre reazioni di attrazione o di repulsione. Ma navighiamo in mondo inquinato, tossico, e viviamo in un tempo nel quale la comunicazione continua a procedere per “accumulo” e spreco,  riempiendo acriticamente tutti gli spazi e i tempi.

Su questo scenario, l’agile saggio di Fausto Colombo  recentemente uscito per Vita e Pensiero  offre un’affascinante riflessione di ordine “ecologico” applicato ai media, in cui analisi critica e prospettiva etica si integrano in un discorso puntuale e suggestivo, in un manifesto sostenuto da una considerazione posta a baricentro di tutto il saggio. Ovvero che comunicazione ed educazione  si devono, quindi, intrecciare, altrimenti si alimenterebbe quella proporzione inversa per la quale alla bulimia della quantità corrisponde un’anoressia della qualità.

Il parallelismo risulta fin dalle prime pagine azzeccato e suggestivo  per quanto all’autore non sfugge l’apparente irriverenza nell’accostare la questione ambientale all’eco-sistema della comunicazione.  E tuttavia, scorrendo le pagine del libro, un’ecologia dei media – sia sul piano della fruizione che su quello della produzione – si configura come un appello a promuovere per così dire uno stile detox contro il logorio delle fake news, delle mezze verità, dell’incompiutezza e del pressapochismo imperanti, dell’ imbarbarimento linguistico. Sono proprio queste le micidiali tossine che contaminano (analogamente alle polveri sottili delle nostre città) la nostra vita quotidiana e i rapporti sociali, come del resto attesta la cronaca di questi anni tanto connessi quanto sclerotici.  E d’altro canto si ha la convinzione che i media, doni straordinari dell’umanità, sono sì seducenti ma per loro natura sono altrettanto insidiosi nel senso che possono annebbiare la vista anziché mettere a fuoco la realtà diventando spesso un flusso emorragico di rancore, di propaganda spicciola, contenitori  del disagio piuttosto che strumenti di dialogo e di sfida alla complessità.

 

Da qui le domande del saggio come base della quaestio: è possibile una direzione proficua dei media, non limitata a seguire il progresso tecnologico o le leggi del mercato? Possiamo fare una comunicazione eco-eticamente sostenibile senza passare per censori?

Il libro ci descrive con semplicità e puntualità pensosa una breve storia dell’ecosistema dei media nella varie fasi, chiamate non a caso “ondate” come fosse uno tsunami le cui mareggiate si sovrappongono. Lo sfondo concettuale è quello della “convergenza” mediatica ispirata dagli studi del massmediologo Henry Jenkins (2006) per cui i nuovi media non soppiantano i vecchi ma tutti i registri dovrebbero collaborare (uso voluto del condizionale) alla costruzione di universi culturali. E qui si arriva al nodo critico del libro non appena si parla dell’avvento dei media-piattaforme e la loro espansione a tratti ipertrofica. Si assiste ad un paradossale scambio di ruoli e soprattutto di valori: l’azione dell’utente (il click) diventa il fine (non più il mezzo) della strategia del brand e il permanere dell’account nell’interfaccia diventa prioritario rispetto all’accrescimento della capacità critica degli utenti. Specularmente, in forza del mercato, i brand si preoccupano solo di immagazzinare i dati nelle loro nuvole (clouds) certi che l’inconsapevole e compulsivo “acconsento” distolga l’attenzione dell’opinione pubblica. Un cortocircuito che – dalla lettura del saggio – non si pone finalità morali ma quantomeno coscienziali cioè l’intenzione dell’autore è offrire una mappa per restituire al lettore la consapevolezza di abitare i media con spirito critico.

Il saggio dunque è di un’attualità significativa considerato che l’orizzonte dell’impegno ecologico non spetta solo alle grande aziende della comunicazione o ai comunicatori professionisti bensì  una scelta che ogni cittadino può e deve compiere, quando prende la parola o comunque compie azioni comunicative.

E se vogliamo, questi tempi pandemici possono essere anche di “transizione” mediatica affinché – parafrasando Dante – si possa dire tanto gentile e tanto onesta pare pensando alla comunicazione.  Ed è la gentilezza la parola chiave del libro, come modalità costante per affrontare (non di dribblare) e risolvere i conflitti e strumento efficace per produrre senso nelle relazioni. Se i media assumessero un nuovo stilnovo potrebbero tornare a fare ciò per cui sono nati ovvero contribuire al progresso delle coscienze contro ogni semplificazione, contro l’eccesso di rumore e di incompetenza, contro la stupida gara negli eccessi e nella ribalta a tutti i costi.

 

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