Ho iniziato ad interessarmi di politica in maniera approfondita in un momento in cui la comunicazione pubblica aveva già iniziato ad inquinarsi.
Era un po’ paradossale. Tanto più mi addentravo nel merito di scelte e decisioni pubbliche e tanto più ero portato a pensare che la politica non dovesse comunicare.
Invece la politica è anzitutto comunicazione. Ed è giusto che sia così. Se non altro perché l’esternazione è il presupposto della trasparenza.
Dove sta, allora, il cortocircuito che può far ritenere desiderabile una politica “grigia” e austera in fatto di comunicazione? Una politica noiosa, insomma, una politica di cui i giornali si occupino da pagina 5.
La risposta sta nel fortissimo grado di violenza che caratterizza la verbosità dell’attuale comunicazione pubblica.
Sì, perché tendere a inculcare idee, concetti e opinioni – quali che siano – da parte di chi fa comunicazione pubblica detenendo le leve del potere, è semplicemente un atto di violenza.
Chiamarla demagogia è riduttivo. La demagogia è un registro funzionale alla presa del potere. Una volta che questo sia stato conquistato, la demagogia si tramuta in violenza, in coercizione. Perché non è più eludibile.
Mentre il demagogo corre per la presa del potere, si è liberi di non ascoltarlo, di non diventarne seguaci. Ma quando il demagogo abbia preso il potere, non c’è più scelta e si sarà costretti – volenti o nolenti – a subirne l’imperio. In tutte le sue forme.
La comunicazione politica dei due governi Conte è stata caratterizzata da un altissimo tasso di verbosità demagogica. Molto, ma molto più alto di quello a cui ci avevano abituato Berlusconi e Renzi.
Sotto la guida di Rocco Casalino, la verbosità – intesa come inutile, fuorviante e menzognera prolissità del linguaggio – è divenuta registro istituzionale.
Lo scopo, chiaro: distogliere l’attenzione dalla portata dei fatti, dalle implicazioni e dalle conseguenze delle scelte e dagli effetti concreti di ogni decisione.
Come in ogni buona operazione di marketing, il significante ha trasceso il significato delle cose e, se ti dicono che si è cancellata la povertà, in fondo, forse deve essere vero.
Per questo provo una grande ammirazione, genuinamente elitaria, per il silenzio di Mario Draghi, che non spreca fiato in vacue conferenze stampa.
Le regole sono rispettate, il Presidente del Consiglio risponde sempre al Parlamento che gli ha dato la fiducia e tutto il resto è un di più. Il rapporto diretto della politica con l’elettore torna nel suo alveo naturale: quello dei deputati eletti.
Basta banchetti microfonati da accattoni del consenso, basta Rocco, basta disintermediazione. Basta demagogia. I fatti parlano per quello che sono e i cittadini giudicheranno le scelte per gli effetti che comportano.
Il reddito di cittadinanza cancella la povertà? Giudicheranno i cittadini.
Quota 100 agevola l’ingresso nel mondo del lavoro di nuovi giovani? Giudicheranno i cittadini.
Il piano vaccinale funziona? Sono in ritardo le ASL regionali o le forniture di Astra Zeneca? Giudicheranno i cittadini.
Valeva la pena arrestare le esportazioni di vaccino verso l’Australia? Valuteranno i cittadini le conseguenze anche di questa scelta.
Il persistente silenzio stampa di Draghi lascia sul campo solo i fatti.
Si tratta, per il livello a cui eravamo giunti, di una conquista enorme.