PromemoriaUna quota del nostro ego

Non possiamo continuare ad autoassolverci ogni volta: nella lotta alla pandemia arriva il momento che bisogna cedere quote del proprio ego.

Dopo un anno di pandemia per parte mia ho vissuto tutto quello che potevo vivere: mi sono contagiato (prendendo i mezzi pubblici) e in seguito ammalato. Tre settimane in un crescendo dalla febbre, ai dolori fino alla saturazione grave, sulla soglia limite del ricovero. L’ affanno e la debolezza, la perdita del gusto e dell’olfatto, voglia di farcela nelle notti insonne. E infine (per adesso) mi sono vaccinato e in futuro sarò “richiamato”. Tutto dentro la realtà delle cose, senza tante fregnacce di coloro che continuano a pensarsi marziani  di fronte, invece,  al più ecumenico dei virus,  che non guarda colore della pelle, il reddito, i followers. Niente, il coronavirus  entra senza bussare e ci rimane tutto il tempo che vuole.

Ciò detto, è necessario provo a compiere un cammino esodale, un uscire da me stesso per poter trovare ciò che in letteratura greca si scrive con l’espressione δελοι οτι (deloi oti – dimostra che) ossia i significati di quanto vissuto dopo un anno di pandemia.

Anzitutto ci è stato sottratto il potere che avevamo sul tempo poichè questa pandemia ci ha dimostrato – con le sue discese ardite e le risalite – di avere la meglio sulle nostre agende, diventate sempre più colorate, frammentate in pezzetti di esperienze, forse macinate troppo. Sentendo amici e parenti la nuova e inedita giaculatoria è “non posso programmare nulla per adesso”. E’ come se il nostro modo di torcere il tempo nostro e altrui fosse stato neutralizzato dal covid il quale decide per me, per noi, per il mondo. E’ un tempo dell’anomalia che ci vive dentro ed è giunto il momento per saperla gestire con saggezza e ragionevolezza. Non dobbiamo farci inghiottire ma dobbiamo avere l’ottusa intelligenza dei virus ovvero saperci adattare e riprendere il controllo.

Tuttavia in questo stallo globale nulla si distrugge ma probabilmente tutto si trasforma, tempo incluso. E a quel punto – evocando la sapienza biblica- possiamo tornare a contare i nostri giorni per giungere, dice il testo, alla sapienza del cuore. Che significa (deloi oti) che abbiamo la possibilità di far contare il tempo che stiamo vivendo magari indirizzandolo verso il bene comune.

In secondo luogo, non meno importante, è che,  in termini di coscienza sociale,   la quadra non la troveremo mai continuando a  sommare  solo interessi di parte e diritti.  Il rischio è che ci colpisca un virus ancora peggiore, quello del mors tua vita mea, fatto di piccoli sabotaggi, piccole furberie, doppi e tripli ristori. Un virus  che si trasmette a partire dall’idea che la vita migliora se va meglio a me, che tutto andrà bene se andrà bene per me”. La pandemia del coronavirus può essere invece l’occasione per “risanare le ingiustizie” e “rimuovere le disuguaglianze”. Nella corsa alla ripresa del post-emergenza il rischio è infatti quello di “selezionare le persone, scartare i poveri, immolare chi sta indietro sull’altare del progresso. Dovremmo imparare molto dall’immane lezione di umiltà che la pandemia ci ha impartito, e soprattutto a considerarci per quel che realmente siamo: dei puntini appena visibili, umanità fragile e disuguale. e se è vero che la felicità si è riscoperta con l’essenziale visibile agli occhi  – e sto pensando alla salute – allora dovremmo chiedere in primis a noi stessi a che punto stiamo sul senso di protezione verso la salute degli altri, della comunità.

Leggo di recente che persino operatori sanitari – in nome di diritti individuali che ancora mi sfuggono – non si vogliono vaccinare per poi risultare positivi e provocare addirittura dei cluster come a Genova. Ecco, pur con grande delicatezza e fermezza, quando non sapremo più distinguere il diritto comune dalla somma dei diritti individuali allora saremo destinati e non vincere questa sfida che è sanitaria quanto sociale. Nella fattispecie, se è vero che l’esercizio di una professione (il medico, l’infermiere, il professore, l’educatore nei nidi etc.) richiede anche l’assolvimento di alcune policies dirimenti, allora chi non si vuole vaccinare può farlo ma nello stesso tempo va licenziato non per sanzione ma per accertata auto-dimissione di chi si è sottratto a regole di protezione comuni.

Non possiamo continuare ad autoassolverci ogni volta: nella lotta alla pandemia arriva il momento che bisogna cedere quote del proprio ego. Questa storia dura del Covid-19 non è finita, purtroppo lo vediamo.  Teniamolo sempre a mente e regoliamoci di conseguenza, per non imboccare quasi per inerzia vie di ritorno a illusioni egoiste di pessima, non solo cattiva, qualità.  Gli egoisti, anche se convinti del contrario, sono i primi a rimetterci, perché sono e rimarranno irrimediabilmente soli con la loro miseria etica.

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