E(li's)booksIl traghettatore di Annalisa Menin. Intervista

“Sono tutti felici gli altri? Oppure siamo tutti cuori in transito, in perenne movimento?”

Ho deciso di leggere Il traghettatore di Annalisa Menin senza conoscere la sua storia, semplicemente guardando un suo video di presentazione su Instagram. Sulla copertina del libro, con l’inconfondibile skyline newyorkese e il sottotitolo “Cuori in transito” leggiamo anche: “Sono tutti felici gli altri? Oppure siamo tutti cuori in transito, in perenne movimento?”

Bella domanda cara Annalisa.

Ecco cosa ha risposto l’autrice a cui ho rivolto alcune domande.

Il traghettatore secondo me è una storia che mette al centro l’uomo e il concetto di uomo non viene banalizzato o semplificato, nonostante il tono scanzonato uomo qui io l’ho inteso come vir latino, come “colui che fa” perché gli viene affidato un compito importante, traghettare un cuore da una condizione di dolore verso una rinnovata vitalità.

Vuoi tracciare, così per gioco, per chi ci leggerà, un identikit del “traghettatore” ideale?

Il Traghettatore ideale è colui il quale ha abbastanza coraggio da intraprendere un viaggio a tempo determinato, dando se stesso senza una promessa di continuità. Deve essere aperto ed onesto, intenso e profondo. Soprattutto, deve riuscire a prendere tutte e tre le parti del corpo che rendono ogni storia tremendamente vera: testa, cuore e pancia. Non importano invece sesso, età o estrazione sociale.

Noi donne cresciamo in una cultura che ci vede violate come Cassandre, abbandonate come Arianne e sacrificate come Ifigenie, nelle tragedie esistenziali è come se finissimo per essere sempre protagoniste nostro malgrado e confrontarsi con il mondo in speciali condizioni può diventare una impresa non particolarmente semplice.

Cosa ha significato per te, intendo socialmente, rimanere vedova a soli trent’anni?

Il termine vedova non mi è mai piaciuto perché si collega ad una perdita. Io, invece, non sento di aver perso Marco, non spiritualmente quantomeno. Non mi sono mai sentita una vedova, per certi versi (riferimento QUI). Mi sono sentita sola, sconsolata, senza voglia di continuare, questo sì.

Per me la perdita di Marco ha significato dover ricominciare daccapo, dovermi rimettere in gioco, senza il mio parter in crime, senza quella persona che mi aveva conosciuto intimamente e con la quale mi ero spogliata di tutto.

L’aver vissuto il periodo post morte di Marco a New York mi ha sicuramente aiutato tanto, così come il mio lavoro e la scrittura. Questi tre elementi insieme, uniti al fatto di non essermi mai sentita vedova fino in fondo, mi hanno permesso di non sentirmi mai socialmente diversa o non accettata.

 Amare senza permettere a un amore di diventare un ostacolo” lo ha scritto Oriana Fallaci ad Alekos Panagulis. Ti va di commentare questa frase? Che ne pensi?

L’amore non può, non deve, essere un ostacolo. L’amore deve essere equilibrio, scambio, incastro, di menti e di corpi. L’amore deve esaltare, far brillare. E quando è quello giusto, dove per giusto si intende quello che per ognuno di noi funziona e ci fa stare bene, è così. Perché chi ama vuole il meglio per l’altra persona.

Io sono una ex malata oncologica e so perfettamente che la mia famiglia avrà per sempre dentro, tanto quanto me, la cicatrice emotiva che un’esperienza simile lascia. Tu che rapporto hai oggi con la malattia in generale?

La malattia, il dolore, le difficoltà, sono parte della nostra vita. Tutti, prima o poi, si interfacciano con momenti, più o meno lunghi, di sofferenza che lasciano cicatrici profonde, come per te e per la tua famiglia (ti abbraccio da lontano). Il mio rapporto con la malattia, ad oggi, è di serena accettazione. Cerco di imparare da quello che la vita mi offre, anche quando le lezioni sono molto dure. Cado, mi rialzo e mi rimetto in gioco, convinta che ci siano là fuori persone molto, molto meno fortunate di me. Per cui non mi sento proprio di lamentarmi. Alla fine, io sono ancora qui.

Smorziamo un po’ i toni! Se ti chiedessi di farmi da “istruttrice” per il dating newyorkese che suggerimenti mi daresti, da dove comincio? Dove vado e come mi concio?

Purtroppo, dovresti cominciare dalle APP, le diverse applicazioni per incontri virtuali (Hinge, Tinder, OkCupid…). È molto complicato conoscere persone dal vivo, da ormai diversi anni. Da lì inizieresti con una serie interminabile di date (di appuntamenti n.d.r.), più dei colloqui che degli incontri galanti, fino a quando non troveresti qualcuno di interessante…

Non voglio essere negativa, ma effettivamente sta diventando davvero difficile conoscere nuove persone in maniera “consueta”. La nuova normalità è il virtuale, nel bene e nel male.

Volendo tentare una strada più tradizionale, sulla quale io continuo imperterrita a puntare, ti direi di mettere un outfit che ti faccia sentire te stessa, e di sederti ad uno dei tanti rooftop bar di New York. Male che vada, ci si gode la vista… e poi ci sono sempre le amiche =)

Mi racconti della tua Charity Initiative: Remembering Marco?

Dopo la morte di Marco, ho sentito forte l’esigenza di creare un’iniziativa che lo ricordasse, permettendo a studenti italiani di vivere il Sogno Americano che lui (ed io), abbiamo vissuto appena arrivati negli Stati Uniti.  La collaborazione avviata è con Università Politecnica delle Marche – l’università che frequentò Marco a suo tempo.

L’idea è di permettere agli studenti di trascorrere un periodo di stage che varia dai 6 ai 12 mesi a New York, grazie ad una borsa di studio annuale sostenuta da “Remembering Marco”.

Finora ci siamo attivati con Valentino USA Inc., che ha generosamente ospitato 4 studenti a partire dal 2016.

Con la pandemia abbiamo dovuto mettere in pausa questo progetto e virare su un’iniziativa diversa. Nel 2020 abbiamo infatti supportato Gilda’s Club  attraverso una raccolta fondi in collaborazione con diversi artisti per il progetto “Yellow Taxi Cab”.

Per saperne di più potete visitare www.marcoomiccioli.com

Ho avuto l’impressione che per te scrivere Il traghettatore sia stato “protezione e rimedio” nell’accezione nietzschiana, l’arte della scrittura per sopportare meglio il senso tragico della vita. Cosa hai provato a scrivere queste pagine e cosa speri rimanga a noi che leggiamo?

Ho provato un senso di grande apertura, di possibilità e curiosità. È  come se i miei occhi fossero ritornati a vedere i colori, dopo anni di tonalità grigie. Mentre il primo libro (“Il Mio Ultimo Anno a New York” n.d.r.) parlava di una rinascita sussurrata, qui abbiamo una protagonista tosta che non aspetta e prende in mano la propria vita.

I momenti di passaggio sono fondamentali nei percorsi di ognuno di noi, perché sono quelli che forse più ci definiscono. Proprio per questo, i Traghettatori e le Traghettatrici sono così importanti nelle nostre vite.

E allora, vorrei che rimanesse proprio questo concetto nelle menti dei lettori: non aspettiamo che le cose accadano, non attendiamo che qualcuno decida per noi, non viviamo con i se e con i ma. Viviamo di emozione vere, di scelte di petto, di tentativi, di fallimenti e di successi. Solo così potremo dire di aver vissuto davvero.

(in foto illustrazione a cura di Alessia Paris che ha letto il romanzo e ha voluto omaggiare l’autrice, è un estratto che si trova a pagina 101/102 del libro da riga 20 pag. 101 a fine capitolo pag. 102)

 Il libro

Anna Venier, ha 33 anni, è di Venezia e vive a New York da 10 anni. Coraggiosa, determinata e intraprendente, la sua vita è costellata di alti e bassi. L’ultimo, il più devastante di tutti, è stata la morte del suo amatissimo marito Marco. A tre anni dal terribile lutto, Anna ha deciso che è arrivato il momento di rimettersi in gioco, anche sul piano sentimentale… Ma la famosa dating scene newyorchese è tutto tranne che semplice, costellata com’è di uomini che appaiono e scompaiono alla velocità della luce. E poi, che relazione cercare quando si è già vissuto il grande amore? Tra primi appuntamenti finiti male, brunch con le amiche e telefonate notturne con Ale, la sua confidente, ecco arrivare l’idea giusta: cercare un Traghettatore – qualcuno che le dia un passaggio verso la nuova fase della sua vita, verso la nuova se stessa. Ma come trovare quello giusto? In un percorso fatto di grandi domande, entusiasmi e incertezze, sullo sfondo di una New York autentica e mozzafiato, Anna dovrà destreggiarsi tra papabili Traghettatori e un importante progetto di lavoro che potrebbe far decollare la sua carriera. Ma soprattutto, dovrà mettere a tacere la vocina interna che rema contro la sua felicità. Tutti prima o poi hanno bisogno di un Traghettatore nella vita – che si tratti di amore, amicizia o lavoro – e non si deve avere paura di mostrare ciò che si è davvero, perché alla fine quello che conta sono solo le emozioni. Questa è la storia di una rinascita, inaspettata, divertente e romantica. Un romanzo pieno di energia e di freschezza che saprà conquistarvi con la forza dei veri sentimenti.

 Il traghettatore di Annalisa Menin

Giunti editore

Pp 432 € 14,90 Brossura con bandelle

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