“Indulgenza per i terroristi, impiccagione per i cattivi maestri“: non ci andava leggero Indro Montanelli nel maggio del 1995. Coniando un’espressione che avrebbe fatto epoca, l’allora decano dei giornalisti italiani sosteneva che gli esecutori materiali degli atti di terrorismo degli anni di piombo fossero meno responsabili di chi li aveva sobillati, istigati, sostenuti con scritti, interviste, lettere, firme, manifesti, prese di posizione pubblica: “La vera responsabilità è di coloro che a questa violenza li indirizzavano, coloro che la violenza giustificavano senza però avere il coraggio di prendervi parte direttamente, rischiando in prima persona’‘. Il bersaglio di Montanelli era, all’epoca, Toni Negri, contro cui Montanelli non usava perifrasi.
I social e le “legioni di imbecilli”
Sono passati 30 anni e i social network hanno ampliato a dismisura le occasioni in cui ciascuno di noi può, in modo assai semplice, prendere posizione in pubblico tramite la parola scritta su qualunque cosa. Qui è obbligatorio citare la celebre frase di Umberto Eco: “I social network sono un fenomeno positivo ma danno diritto di parola anche a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Ora questi imbecilli hanno lo stesso diritto di parola dei Premi Nobel”.
Twitter, in particolare, grazie alla sua forma sincopata dei 140 caratteri, favorisce la produzione di testi brevi, taglienti, in cui è necessario andare subito al punto, senza ricami o fronzoli o subordinate.
Quel che si scrive sui social, rimane
E’ un rischio che noi docenti e giornalisti conosciamo bene. Lo abbiamo notato, analizzato, studiato, ne abbiamo parlato nelle scuole di giornalismo, ci abbiamo scritto su libri (bellissimo quello di Luca Conti). Abbiamo ammonito i nostri studenti sui banchi del liceo o su quelli universitari: tutto ciò che scrivete sul web, rimane. Cercate sempre di incrociare le fonti, di verificare quel che rimbalzate, perché i social sono pieni di fregnacce. E quando esprimete il vostro punto di vista su qualcosa, attenzione a non insultare, a non sminuire, a non delegittimare, a non diffamare, a non calunniare. Non fate i bulli, insomma. E su bullismo e cyberbullismo abbiamo speso altre preziose parole.
Carotenuto: quando il professore fa il bullo
Dal mio punto di vista, i giovani, Twitter lo sanno gestire. Non così alcuni uomini di mezza età, che lo adoperano come una sorta di diario privato in cui sfogare le loro personali frustrazioni politiche. Negli ultimi tempi due fra i peggiori esempi sono quelli del professore associato dell’Università di Macerata, Gennaro Carotenuto e del rettore dell’Università per stranieri di Siena, Tomaso Montanari.
Il professor Gennaro Carotenuto usa Twitter senza alcuna dignità, decenza, contezza o civiltà. Scrive frasi colme di odio. Insulta. Calunnia. Lo fa contro chiunque non approvi, ma ha una particolare idiosincrasia contro il Senatore di Firenze, Matteo Renzi, definito da Carotenuto “il porco che piace a lei”, in una serie di tweet deliranti e nauseabondi, nei quali l’augusto professore dell’Università di Macerata aderisce a uno dei più fascisti hashtag creati negli ultimi tempi dalla macchina populistica del partito qualunquista: “#RenziFaiSchifo”. E pensare che io insegno ai miei liceali a criticare le idee, giammai le persone che le esprimono.
Carotenuto sposa dunque la character assassination contro Renzi, replicando in questo un insegnamento mussoliniano. La alimenta, ne partecipa, vi contribuisce. Chiama “sgherri” i cittadini iscritti a Italia Viva. Diffonde notizie false, come quella contro Teresa Bellanova, rea di aver pubblicato una frase a commento di una sua breve videointervista sulla necessità di vaccinare anche i migranti in cui era saltata, per un refuso, un avverbio.
Sarebbe bastato aprire il breve video per non fare la figura di melma fatta di Carotenuto, che ha commentato in modo bilioso, odioso, orrendo e del tutto gratuito. Glielo è stato fatto notare da decine di altri utenti: Carotenuto non si è mica scusato. Quest’uomo racchiude in sé l’idea di poter scrivere qualunque cosa su Twitter, senza alcuna conseguenza.
Macerata non ha bisogno di altri sobillatori
Lo dico apertamente: il modo che questo docente dell’Università di Macerata ha di gestire il suo account Twitter è pericoloso. Perché da un lato il suo linguaggio carico di odio è nei fatti un’istigazione a odiare le vittime dei suoi bersagli. Dall’altro denuncia una sua chiara incapacità a verificare le fonti, cosa grave per uno che scrive libri di Storia, e per di più Contemporanea. Denuncia il suo fare manicheo, di chi non sa cogliere la complessità di una qualunque iniziativa politica. Carotenuto vede solo bianco o nero (o forse solo rosso?) riguardo alla politica italiana contemporanea, e carica a testa bassa. E’ lecito chiedersi: presenterà allo stesso modo anche gli anni di piombo, nei suoi libri? Quale sarà il giudizio che dà di figure storiche controverse del Novecento, da Giolitti a Craxi? Le taglia tutte con l’accetta? Sono tutti mafiosi e ladri?
Bisogna anche ricordare che Macerata è una piazza delicata: fu qui che appena nel 2018 Luca Traini, un iscritto alla Lega sparò dei colpi contro 6 cittadini di origine africana e una sezione del PD di Renzi. Carotenuto non tiene in considerazione di twittare le sue infamie da quello stesso luogo, rivelando ancor di più tutta la sua inadeguatezza e inopportunità.
Manca il rispetto per le opinioni altrui
Mettetevi nei panni di uno studente, di un ricercatore o di un collega subordinato al prof. Carotenuto, reo magari di avere stima di Matteo Renzi e Italia Viva: cosa gli potrebbe accadere? Dovranno oscurare i loro profili social nel timore di essere da lui penalizzati? Ma poi, professore, che razza di esempio dà ai suoi studenti col suo squallido e infame cyberbullismo da quattro soldi? Si dia un contegno, se ne è capace. E se non ne è capace, si tolga da Twitter e dai social, che almeno la pianta di inquinare il panorama italiano. “Have you no sense of decency, sir?”
I tweet del neo-rettore Montanari sono meno sprovveduti e volgari di quelli di Carotenuto. Il peggior commento di Montanari è quello che paragona Draghi a Bolsonaro. Una comparazione così fuori bersaglio che fa ridere delle capacità di analisi del rettore di Siena, ma qui siamo ancora dentro la libertà di critica. Nel mio piccolo, da quando ho letto questa definizione di Draghi, io allora sostengo che Montanari sia equiparabile a Goebbles, senza però aver prodotto i film di Leni Riefenstahl. Se vale tutto, tutto vale.
Montanari contro il capitalismo
Montanari, da brava vedova del De Cuius (Giuseppe Conte), ha in disprezzo particolarmente il governo Draghi. Gli ascrive politiche da “macelleria sociale” perché ha cominciato a togliere il blocco dei licenziamenti. Una decisione dovuta in una democrazia liberale, se si vogliono tenere aperte le aziende. Montanari è però un nostalgico dei sistemi comunisti sovietici, dove la libertà di licenziare non era prevista, come nemmeno quella di fare impresa, del resto. Va fatto notare che i licenziamenti della GKN non hanno nulla a che vedere con lo sblocco dei licenziamenti, secondo quanto dicono sia Landini che il ministro del Lavoro Orlando, trattandosi di una chiusura per delocalizzazione. Ma perché approfondire? Lo slogan funziona così com’è, vero rettore? Anni fa Montanari se la prese contro la decisione del ministro Franceschini di fare un bando per assumere direttori internazionali per i nostri grandi musei: un curioso insieme di nazionalismo e socialismo, insomma, brrr.
Quando si parla di Italia Viva, poi, Montanari va in tilt. Così, quando Maria Elena Boschi risponde ironicamente con una sua foto al mare a un attacco di Salvini che le aveva dato elgantemente della “mummia”, Montanari ritiene di criticare Boschi sostenendo che la pubblicazione di quella foto “ha legittimato centinaia di vignette e frasi ignobili sul suo corpo”.
Splendida la risposta di Matteo Bordone: “Il corpo e le donne non sono due cose diverse. Le donne sono anche il loro corpo, e ci fanno tutto quello che vogliono, dalla suora di clausura alla pornostar, senza chiedere il permesso. Esattamente come gli uomini. Come si fa a essere così preti e non accorgersene? Boh.” Gioco, Set, Incontro.
Montanari contro Giorgio Amendola
L’altra topica di Montanari è quella relativa a un battibecco con Elena Visconti, l’affascinante personaggio disegnato da non sappiamo chi. Visconti aveva twittato “Tutto quello che è a destra diventa fascista. Io non mi stanco di dire che conservatore, reazionario, autoritario, fascista, sono termini che corrispondono a diverse formazioni politiche, a diverse realtà. Non approvo certe equiparazioni generiche e superficiali.” che, a mio parere, è una riflessione super-condivisibile e di grande saggezza. Non così per Montanari, per il quale tutto ciò che è meno di sinistra di lui è fascismo (a cominciare da Italia Viva) e ribatte: “Il Fronte della Gioventù in cui è cresciuto Giorgetti è fascista o no?”. La chiosa e lo SDENG li lasciamo a Elena Visconti:
Sono questi i modelli da seguire?
Al di là delle pessime figure che rivelano le poche letture, c’è che chi ricopre incarichi di docenza o è addirittura rettore dovrebbe avere la maturità e l’intelligenza per capire da solo di essere una figura educativa istituzionale e rappresentare anche un modello per i propri allievi. E che nella sacrosanta libertà di parola o di critica non è compreso un fantomatico diritto a insultare milioni di italiani come “sgherri” o a dare del “porco” a chicchessia. Carotenuto e Montanari: riflettete sulla vostra compatibilità come rettori o docenti universitari e cattivi maestri su Twitter. Se proprio ritenete di voler trasformare il vostro profilo social in quello del militante, abbiate la decenza di non insultare gli uomini e le donne, e concetrate i vostri strali sulle scelte politiche, non sulle persone.