“Sono fuori di testa ma diverso da loro / E tu sei fuori di testa ma diversa da loro / Siamo fuori di testa ma diversi da loro!” E’ su queste note dei Maneskin, ormai celeberrime in tutto il globo, che si conclude il sabato del villaggio renziano, la Leopolda 11. Note rock, note di denuncia, di reazione, di ribellione e di riprendere le briglie del proprio modo di fare politica in modo alternativo rispetto al canone.
Avversari politici chiamati a testimoniare nel processo su Open
Gli ultimi 50 minuti del secondo giorno della kermesse politica Renzi se li prende per sé e parlare del processo contro di lui e la fondazione Open, che negli anni passati ha organizzato le varie Leopolde. E’ l’unico momento in cui sul palco non si ascoltano proposte e progetti politici, da qualcuno anche quest’anno del tutto ignorati nelle sue cronache, ma si ribatte alle accuse che i media affastellano contro il senatore di Firenze.
L’accusa dei PM è che la fondazione fosse in realtà un partito politico, e che le Leopolde fossero la corrente renziana del PD. “Pierluigi Bersani è stato chiamato fra i testimoni del processo contro Open” – Matteo Renzi qui ferma sul nascere i fischi e i buuu della vasta e folta platea – “Bersani ha dichiarato che io avevo intenzione di tagliare le radici della sinistra storica politica e sindacale: è vero. E lo rivendico. Ed è quanto siamo riusciti a fare. E’ per questo che il PD della mia segreteria ha a un certo punto raggiunto il 40%. Ma non penso che questa riflessione politica possa essere giudicata in un’aula di Tribunale!”
Renzi intende difendersi nel processo e non dal processo
“Ribatterò punto su punto, i magistrati sappiano che chiederò di parlare sempre, di essere ascoltato su tutto, a costo di farmi odiare anche dai miei avvocati”. La tecnica che Matteo Renzi intende seguire in questo processo è l’opposto di quella adottata da Berlusconi in gran parte dei suoi dibattimenti: il leader di Italia Viva vuole difendersi nel processo e non dal processo: “Prima di tutto spiegherò loro cosa è fare politica, con la P maiuscola. Poi cosa significa fare un partito, e cos’è una corrente”.
La Leopolda è sempre stata un vivaio, un appuntamento politico aperto a voci diverse. Una sorta di Ted Talk italiano in cui salgono sul palco filosofi, scrittori, scienziati, insegnanti, imprenditori che poi non si candidano alle elezioni, ma portano il proprio contributo, il proprio modo di leggere lo spicchio di società di cui sono esperti.
In tutte le Leopolde sono stati ospitati anche diversi politici, ma di donne e uomini di ogni schieramento e di diversi partiti. Renzi ha gioco facile nel dire “Tutti ricordiamo le fitte polemiche del PD della ‘ditta’, che ci accusavano di non esporre qui le bandiere e i simboli del partito“. Poi manda in onda due clip di suoi vecchi interventi di quando era segretario del PD: “Non farò mai una corrente. Piuttosto che fare una corrente nel PD restituisco la tessera” la clip termina e Renzi chiosa, nel boato di approvazione del suo pubblico: “Fatto.”
Il referendum costituzionale come ‘interesse privato’ di Renzi?
I toni restano tuttavia gioviali: Renzi parla da seduto, non in piedi al suo solito. Infarcisce il suo discorso di battute e sorrisi non tirati, ma i contenuti sono taglienti: “I PM di Firenze, nelle 92mila pagine di indagini, hanno scoperto che Open finananziò la campagna del referendum costituzionale. Ma va’? La cosa divertente è che hanno definito il referendum costituzionale come ‘un mio interesse privato’.” Questo concetto fa appunto “uscire di testa” Matteo Renzi, che riassume sarcastico: “Un referendum che cambiava 50 articoli della Costituzione della Repubblica, votato sei volte dal Parlamento e poi votato da 30 milioni di italiani, sarebbe un mio interesse privato.”
Renzi si perita di non fare mai i nomi dei PM fiorentini che hanno più e più volte indagato lui, la sua famiglia, arrestato la madre per alcuni giorni, sequestrato cellulari, iPad, computer di amici e collaboratori di Renzi che non erano nemmeno indagati e che, puntualmente, hanno visto i propri provvedimenti censurati e annullati dal Tribunale del Riesame o dalla Cassazione.
Una retorica che ricorda quella contro il senatore McCarthy
Non vuole, Renzi, personalizzare lo scontro, che lui valuta come integralmente politico. Lo stile della sua retorica mi ricorda da vicino quello del Consigliere capo dell’esercito statunitense, Joseph Welch, quando fu chiamato a testimoniare in un’audizione della Commissione del Senato contro le attività anti-americane dal senatore repubblicano Joseph McCarthy. Il senatore del Wisconsin era ormai perso nei fumi della sua cieca campagna anti-comunista, al punto da aver coinvolto e accusato addirittura i capi dell’esercito a Stelle e Strisce. Welch, al termine della sua audizione, pose la famosa domanda retorica che avrebbe segnato l’inizio della fine di McCarthy e della sua assurda caccia alle streghe: “At long last, have you no sense of decency left, Sir?” – “E infine le chiedo: non le è proprio rimasto alcun senso di decenza, signore?”.
Open: un processo mediatico e politico
Il punto è che anche questo contro Open è un processo mediatico e politico. Un processo che si sta già disputando sulle prime pagine del Fatto Quotidiano, che ormai apre quasi solo su Renzi, pur non riuscendo a scovare una sola notizia di reato spulciando la corrispondenza del senatore o le entrate del suo conto corrente. Sul Fatto Quotidiano e in diversi talk show politici de La7 e di Rai3, che mettono in onda inquisizioni contro Renzi il più delle volte senza nemmeno preoccuparsi di invitarlo a rispondere delle loro accuse.
Matteo Renzi tutto questo lo sa: “Sono disponibile a difendermi in tutte le sedi perché credo nella giustizia e credo nella verità. Se pensano di aver trovato uno che si ferma, non mi fermo in sede penale e neppure in sede civile. Presenterò ricorsi al Garante della Privacy, farò interrogazioni parlamentari, denuncerò chi ha violato la legge e la Costituzione in ogni luogo e in ogni lago. Chiederò i danni a chi mi sta diffamando perché i miei figli devono sapere che tutto quello che sta accadendo semplicemente non è vero. La verità è che si vuole processarci perché abbiamo fatto politica”.
Arendt e i Maneskin per dare la cifra della grinta e della preparazione
In chiusura di quella che è di fatto un’arringa difensiva, Renzi cita una frase ad hoc di Hannah Arendt, presa da Le origini del totalitarismo: “Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l’individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più.”
Su queste parole parlano le note graffianti dei Maneskin, la guerra di Matteo è appena iniziata e la platea della Leopolda esplode in un applauso in piedi.