Candidare Emma Bonino alla Presidenza della Repubblica. Sarebbe, dopo il successo della Lista Calenda alle elezioni di Roma, un secondo atto politico importante per i riformisti. Quelli che si riconoscono nell’odierna area di Centro anti-populista. Solo un anno e mezzo fa Carlo Calenda cercava di darle un’identità coniando il bellissimo nome di Fronte Repubblicano.
Emma: un curriculum ideale per il Colle più alto
I motivi per farlo sono diversi: Emma Bonino intanto ha l’età (giusta): 73 anni, un’età da Quirinale. E’ una politique-politicienne, ossia una donna politica di professione, con alle spalle una storia politica e personale carismatica e importante, da tutti riconosciuta. Per molti decenni Bonino è stata una esponente di punta del Partito Radicale, una femminista pragmatica, portatrice di quei valori laici che hanno alimentato la storia civile e politica del Paese. Sarebbe quindi uno splendido modo di concludere la legislatura dei populisti, quelli dell’uno vale uno, che all’inizio avevano catturato il 34% dei voti del M5S e il 20% della Lega salviniana.
Bonino ha esperienza istituzionale: è stata vice-presidente del Senato dal 2008 al 2013, votata da tutti i gruppi. Ha esperienze di governo: 3 volte ministra, due per il centrosinistra e una per un governo d’unità nazionale presieduto però da Enrico Letta. Ancora, è stata fra il 1995 e il 1999 Commissaria UE per la politica dei consumatori, della pesca e degli aiuti umanitari, lì votata dal centrodestra.
Prestigio nazionale e internazionale
Al di là del suo ruolo come Commissaria UE, è famosa sul piano internazionale per varie iniziative; credo che la sua campagna politica più rilevante sia stata la fondazione della Corte penale internazionale de L’Aja, nel 2002. La senatrice, poi, è una poliglotta di quelle vere: Laurea alla Bocconi in Lingue Moderne con tesi sull’autobiografia di Malcolm X, e parla anche l’arabo. Ma soprattutto è una donna dotata di una saggezza costituzionale e politica che la rende particolarmente adatta al ruolo. Ultimo ma non ultimo, è una editorialista de Linkiesta e de Il Riformista, che sono il meglio del giornalismo italiano…
Un personaggio divisivo? Un tempo, sì
Certo, come tutti i grandi leader, Emma Bonino è anche un personaggio divisivo. Le battaglie sulla legge per il divorzio e quella per l’aborto le hanno inimicato i settori più retrivi del mondo cattolico, vaticano e democristiano, ma sono campagne di mezzo secolo fa: Emma all’epoca era una giovane donna, e i suoi avversari coevi tendono ad aver quasi tutti passato la mano in favore di generazioni più pragmatiche, basti pensare a Pier Ferdinando Casini, che ha beneficiato della legge sul divorzio in prima persona.
Non so se Bonino avrebbe delle reali chance d’elezione: il Parlamento italiano è talmente diviso in gruppi e gruppetti senza identità politica (il solo Gruppo Misto della Camera conta 66 deputati, e di questi ben 24 sono cani sciolti, nel senso che non sono entrati in nessun sottogruppo), che tutto potrebbe accadere.
Il senso politico di una candidatura Bonino
Ma la sua candidatura, per lo meno come bandiera – ovvero come nome votato nei primi tre scrutinii con quorum qualificato – da parte dei riformisti anti-populisti che fanno capo a Italia Viva e Coraggio Italia, avrebbe molto senso politico.
Intanto sarebbe uno splendido nome – di centro, e di donna – da contrapporre a quello di Silvio Berlusconi, che pare sarà il candidato di bandiera del Centrodestra.
A cosa mira davvero Berlusconi
Non penso che il fondatore di Forza Italia miri davvero all’elezione: sa che nel suo caso il numero dei franchi tiratori dentro la Lega e Fratelli d’Italia potrebbe perfino superare “quota 101“. E’ il tragico numero di franchi tiratori che affossarono, nel 2013, la poco preparata candidatura bersaniana di Romano Prodi, costringendo poi Bersani stesso alle dimissioni da segretario del PD.
Berlusconi, per me, mira solo ad avere il suo nome ben scandito per 300 volte come ipotetico papabile al Quirinale: una sorta di riconoscimento narcisistico, da consumato attore capo-compagnia, di cui l’uomo godrebbe moltissimo. A quel punto potrebbe fare il beau geste di tirarsi indietro e indicare lui il nome su cui far convergere i riformisti. Quel nome potrebbe appunto essere Bonino. Sarebbe per Berlusconi un modo alto di chiudere una carriera politica trentennale fatta di alti e bassi. Pochissimi alti e bassi vertiginosi, per come la vedo io, ma mezza Italia direbbe il contrario.
Non lasciate Calenda da solo
La candidatura anche solo di bandiera di Bonino avrebbe anche il potere di riavvicinare il piccolo nucleo che fa capo ad Azione e Più Europa al gruppone di Italia Viva e Coraggio Italia, che proprio ieri ha firmato un patto anti-Berlusconi ed è forte di circa 75 grandi elettori.
In queste ore Calenda si lamenta (al solito) di non essere interpellato per il voto sul Quirinale (forse perché i gruppi di Azione e Più Europa messi insieme contano solo 5 grandi elettori? My two cents). Sembra mancargli una volta di più la capacità d’iniziativa politica: ma oggi, rispetto a quando Calenda lanciava l’idea del Fronte Repubblicano, appare più solida l’alleanza fra il PD di Letta (che s’avvia a resuscitare il vecchio PDS di D’Alema, come ci ricorda l’ottimo Alberto De Bernardi, in un ennesimo episodio della saga “a volte ritornano”) e i populisti di Conte. Dunque una candidatura unitaria dei riformisti anti-populisti sarebbe davvero un ottimo segnale.
Una candidatura di bandiera? Sì, ma da 3 cifre
Se Italia Viva, Coraggio Italia, Azione e Più Europa sosterranno Bonino, la radicale partirebbe da almeno 80 voti di grandi elettori. A quel punto altri gruppi come il MAIE-PSI-FacciamoEco (8 alla Camera, fra cui Rossella Muroni, già presidente di Lega Ambiente e deputata femminista), il Centro Democratico (6 alla Camera, fra cui Bruno Tabacci, già alleato di Bonino in tempi recenti) e del Gruppo per le autonomie (9 al Senato) e le Minoranze linguistiche (4 alla Camera) potrebbero unirsi al progetto.
Bonino avrebbe circa 107 voti di grandi elettori: partire da tre cifre potrebbe fare la differenza e portare anche tutta Forza Italia e parti del PD e della Lega a convergere. Insomma, non sarebbe un’utopia.