Clima di euforia ieri al Guggenheim di New York per gli editori americani. La raffinata opera presentata in prima assoluta al pubblico di tutto il mondo si chiama The Daily, il primo giornale digitale progettato esclusivamente per l’iPad della Apple. Il mecenate si chiama Rupert Murdoch, il più potente editore di giornali del mondo e numero uno di News Corporation. L’euforia non era dovuta solo al neonato progetto ma a quelli che seguiranno. Per la prima volta, dopo un decennio caratterizzato da verticali crolli dei fatturati pubblicitari e delle copie vendute, va in scena la riscossa. Uno dopo l’altro stanno arrivando una serie di iniziative con lo scopo di trovare un nuovo modello di business per i giornali, cioè l’araba fenice vagheggiata invano nel corso dell’ultimo decennio.
Partiamo da The Daily. Il costo è ragguardevole: un investimento da trenta milioni, un costo di gestione di 25 milioni all’anno, una redazione di cento giornalisti, un prezzo ai lettori da un dollaro alla settimana o 40 dollari all’anno. Non molto se si considera che il 30 per cento degli introiti finirà nelle tasche di Apple, un prelievo forzoso che comincia a suscitare malumori nella comunità degli editori. Ma per ora a Murdoch l’invadenza di Apple non sembra importare granché. The Daily è un esperimento. Un imprenditore navigato come lui certo non immagina di fare centro fin dal primo tentativo, per questa ragione molti editori lo considerano un mecenate che sperimenta un modello che potrebbe essere imitato da altri.
Murdoch è convinto che le news gratuite sul web finiranno con l’uccidere i giornali e infatti alcuni mesi fa ha cominciato a chiudere in modo drastico le porte digitali dei suoi quotidiani: il Times, il Sunday Times, News of the World. Solo l’home page di questi giornali è rimasta visibile: per leggere anche un solo articolo è necessario pagare.
In questo modo Murdoch ha perso l’84 per cento dei lettori online, ha visto crollare la pubblicità sul web, ma dice che questo non ha importanza. Si tratta di piccoli numeri, un dettaglio insignificante nel suo fatturato: l’importante è vincere la guerra, che sarà lunga. E adesso ci prova con il Daily che utilizzerà una piattaforma chiusa, quella dell’iPad, dove i giornali vengono letti grazie ad “applicazioni software” che creano mondi separati dalla rete. Un ritorno al passato, un arretramento, dicono i sostenitori del web, e chissà dove ci porterà questa tendenza a dividere Internet in tanti steccati chiusi. Ma the Daily è solo la prima sperimentazione in arrivo.
Anche il New York Times sta per annunciare la fine dell’era delle notizie gratuite, con una strategia ben diversa da quella di Murdoch. Il giornale continuerà a essere pubblicato sul web e la maggioranza dei lettori potrà continuare a scorrere i titoli e a leggere gli articoli. Ma sarà posto un limite: superato un certo numero di pezzi al mese (venti?) ai lettori sarà chiesto di pagare un abbonamento, probabilmente intorno ai 20 dollari al mese.
La strategia del New York Times (che potrebbe dilagare in molti paesi, Italia compresa), nasce dai risultati di alcuni test effettuati presso una ventina di giornali americani medi e piccoli. Da questo esperimento (effettuato da Journalism online, un’associazione di editori) è emerso che lasciando la possibilità agli utenti di leggere una ventina di articoli al mese prima di obbligarli all’abbonamento (tra i 4 e gli 11 dollari al mese, in quei casi), si riduce il gettito pubblicitario di solo il 7 per cento (e le pagine viste del 20 per cento). Si tratta di una strategia calibrata per cominciare a fidelizzare gli “utenti pesanti” (quelli che leggono molto) senza scoraggiare quelli leggeri, che sono la grande maggioranza e contribuiscono comunque a tenere alto il gettito pubblicitario online. Resta da vedere quale successo avrà questa strategia per un colosso come il New York Times, che ha ormai molti milioni di lettori in tutto il mondo.
Un altro esperimento appena decollato si chiama Ongo.com, un nuovo servizio di news personalizzate finanziato (con 12 milioni di dollari) dall’editore Gannett, dal Washington Post e ancora una volta dal New York Times. Il progetto è stato lanciato alla fine di gennaio con l’obiettivo di «ridefinire il modo in cui si leggono, si scoprono e si condividono le news». Ongo è un aggregatore che consente di leggere gli articoli all’interno di una piattaforma accessibile con il browser dei pc, sugli smartphone, sui tablet come l’iPad. L’abbonamento base parte da 6,99 dollari al mese e consente l’accesso agli articoli dell’Associated Press, a tutti i pezzi del Washington Post, ad alcuni articoli del New York Times e a una selezione del Financial Times. A questi si possono aggiungere altri titoli, pagando cifre supplementari: il Boston Globe, il Guardian, il Miami Herald e così via. L’ipotesi è che i lettori siano interessanti a leggere un giornale personalizzato costruito con articoli di varia provenienza, scelti da un software che personalizza la lettura sulla base delle indicazioni dell’utente, e magari imparando le sue abitudini nel corso del tempo.
Sono molti i software per la personalizzazione della lettura dei giornali che presto arriveranno sul mercato e dilagheranno sui pc, sugli smartphone e sui tablet pc. Il 2011 potrebbe essere l’anno della svolta. Al Times aspettano con ansia il risultato di queste sperimentazioni. La stella del giornale sta declinando. Pochi giorni fa la New York Times Co. è stata esplulsa dall’indice Standard & Poor 500 per far posto a Netflix, un’azienda che affitta Dvd e film online. Se la tecnologia continua a surclassare i contenuti, allora bisogna proprio che i contenuti vengano arricchiti con una buona dose di tecnologia.