Le nostre centrali fan più paura della nube radioattiva

Le nostre centrali fan più paura della nube radioattiva

Professor D’Auria, un evento come quello alla centrale nucleare di Fukushima può essere considerato un “cigno nero”; risultato soltanto di un evento del tutto imprevedibile (o poco prevedibile) come il sisma e lo tsunami che hanno colpito il Giappone l’11 marzo?
No. E lo dico stando ai numeri. In Ingegneria nucleare, la probabilità di avere una fusione del nocciolo è di 10 alla meno quattro: 0,0001%. Se vogliamo dare un significato pratico più immediatamente percepibile alla matematica, ciò significa che un incidente estremamente grave capita statisticamente una volta ogni 10.000 anni/reattore. Agli inizi della tecnologia sembrava una probabilità infinitesimale. Ma capite bene che con 443 rettori al mondo, ogni anno si accumulano quasi 450 anni/reattore. Il che vuol dire che si può stimare un incidente importante grossomodo ogni 20 anni. Da quello di Černobyl’ ne erano passati 25… Statisticamente parlando, una Fukushima era assolutamente prevedibile.

L’impianto giapponese è finito tra le polemiche anche perché era molto vecchio. Cresce davvero il rischio oltre i 40 anni di vita dei reattori? 
Sì. Con i nuovi reattori di terza generazione le probabilità di incidente grave scendono a 10 alla meno 6. Insomma, uno ogni un milione di anni/reattore. Ma adesso quelli in circolazione sono tutti piuttosto obsoleti. Anche perché, dopo l’incidente del 1979 a Three Mile Island, c’è stato un rallentamento nella costruzione di nuove centrali. La maggiore vulnerabilità dipende da un danneggiamento dei materiali strutturali causato dalle radiazioni. In particolare, soffre il recipiente in pressione. Per gran parte dei reattori di tecnologia sovietica il limite è di 30 anni. Negli Stati Uniti, dopo revisione, si è portato a 50 anni, previa licenza.

Ma anche in Europa si parla di proroghe…
Ovunque lo si è fatto. Anche la centrale di Fukushima, del resto, aveva ottenuto un allungamento della vita solo poche settimane prima dell’incidente… Si sta studiando la tecnologia per rendere più longevi i reattori. Il nuovo EPR Areva che si sta costruendo per la prima volta a Olkiluoto, in Finlandia, arriverà a 60 anni, e si lavora, in progettazione, per andare oltre in un futuro non troppo lontano.

Ma perché si deroga al limite stabilito inizialmente?
La questione è unicamente finanziaria, e non solo per gli alti costi del decommissioning. Ancora una volta parlano i numeri: il prezzo di un reattore è di circa 3,5 miliardi di euro. Uno da 1000 Megawatt produce energia per 1 milione di euro al giorno. Ci vogliono dunque circa dieci anni, facendo due conti grossolani, per ammortizzare la spesa iniziale. Negli altri trent’anni ci sono solo le spese di gestione. Ma, grazie all’ammortamento e agli interessi sul capitale, è proprio dopo i 40 anni che le centrali si fanno più redditizie: praticamente non ci sono più costi ma solo guadagni. Purtroppo diventano così convenienti quando sono anche più pericolose. E questo ci espone a qualche rischio.

Clicca sulla sigla per avere informazioni sui diversi tipi di reattore: 

Magnox    PWR    BWR    AGR    VVER    RMBK 

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