Anche in Europa è arrivata l’ora dei Tea Party? Quando gli indizi si accumulano è difficile non considerarli una prova. L’ultimo arriva dalla Finlandia dove il partito populista dei “Veri Finlandesi” ha trionfato alle elezioni. Ora è la terza forza politica del paese, ha incassato il 19% dei voti (aveva il 4% tre anni fa) e probabilmente entrerà nel governo.
Il leader del partito, il populista Timo Soini, si oppone al salvataggio del Portogallo da parte dell’Europa. In parole povere chiede che i paesi virtuosi del Nord Europa la smettano di farsi carico della spesa allegra del parenti poveri del Vecchio Continente. E siccome per “salvare” il Portogallo con un’iniezione da 80 miliardi di euro l’Unione Europea ha bisogno di un voto unanime, ora la Finlandia è in condizione di bloccarlo, o di imporre condizioni assai più onerose per Lisbona. Un segnale pesante per la Spagna, che potrebbe essere il prossimo paese a chiedere un salvagente a Bruxelles. E forse anche per l’Italia, che ha il debito pubblico più alto del mondo dopo il Giappone.
Lo stato d’animo che cresce in Finlandia si manifesta anche altrove sotto diverse forme. In Francia cresce il Fronte Nazionale di Marie Le Pen che ha una chiara impronta xenofoba; in Olanda trionfa il Partito della libertà (antiislamico) di Geert Wilders; mentre in Belgio miete successi il partito separatista fiammingo di Bart De Wever.
La Francia che blocca i treni alle frontiere per evitare il passaggio degli immigrati nordafricani in transito dall’Italia, al di là delle questioni squisitamente giuridiche, è il segno che qualcosa sta cedendo nella solidarietà europea. Le chiacchiere sempre più insistenti sulla possibilità di sospendere il Trattato di Schengen indicano uno stato d’animo di malessere e di ripiegamento psicologico che ha origine nella classe media di molti paesi europei.
In fondo la Finlandia di Timo Soini estende, a livello europeo, i principi che la Lega di Umberto Bossi applica su scala nazionale. I True Finns rifiutano di risolvere i problemi del Portogallo (e domani della Spagna e forse dell’Italia) esattamente come la Lombardia e il Veneto della Lega dicono di non volersi più accollare il peso della Sicilia.
Che cosa lega questi movimenti con i Tea Party americani? Dal punto di vista emotivo, il risentimento. La classe media è in declino in tutti i paesi avanzati. I posti di lavoro migrano all’estero, il panorama occupazione cambia sotto i colpi dell’innovazione tecnologica, la geografia della ricchezza si trasforma e si concentra verso l’alto. Se si analizzano i dati appena forniti dall’Ocse sull’ineguaglianza sociale (“Society at a Glance 2011”, pag. 67) si scopre che in quasi tutti i paesi Ocse, dagli anni Ottanta a oggi, è cresciuta la distanza tra ricchi e poveri (fa eccezione la Francia). E la Finlandia è il paese in cui le ineguaglianze sociali sono cresciute di più.
È l’analisi del sociologo Manuel Castells che diventa realtà. Nel flusso perenne fatto di merci e di persone, di movimenti finanziari e di informazioni, da una parte accettiamo l’inevitabile espansione dei nostri orizzonti verso un mondo sempre più globalizzato ma dall’altra ci aggrappiamo alla nostra identità regionale e cittadina, all’interno della quale costruiamo una sempre più affilata identità individuale. Accettiamo di mandare i figli a studiare a Londra, ma ci abbarbichiamo alla nostra tradizione dialettale e sviluppiamo una visione del mondo stretta intorno ai nostri bisogni personali e ai nostri interessi di nicchia.La classe media, stretta tra una minoranza ristretta che diventa sempre più ricca e un’ondata dei poveri che bussa alle frontiere, si rinchiude in sé stessa e minaccia di rompere le regole del contratto sociale che sono state cementate nella seconda metà del secolo scorso, soprattutto negli anni Sessanta e Settanta.
Gli obiettivi del risentimento delle classi medie variano da paese a paese, naturalmente. I dati dell’Ocse mostrano che nei paesi del Nord Europa la credibilità delle istituzioni locali è ancora molto alta. I finlandesi che devono comunque stringere la cinghia e vedono nubi all’orizzonte per i loro figli, continuano a dare fiducia alla propria amministrazione pubblica, ma orientano il loro risentimento verso la burocrazia europea e verso gli inaffidabili stati del Sud, quelli che mandano in pensione i lavoratori prima dei 60 anni e accumulano debiti pubblici da capogiro. In Francia e in Olanda l’obiettivo primario sono gli immigrati. Nel Nord Italia della Lega il risentimento (oltreché verso gli stranieri invasori) viene canalizzato verso il Sud, in particolare verso “Roma ladrona”.
Negli Stati Uniti dei Tea Party, dove pure le ineguaglianze sociali continuano a crescere e l’uno per cento dei più ricchi accumula il 20 per cento della ricchezza, una larga parte della classe media identifica il nemico nello Stato federale, negli sprechi dell’amministrazione pubblica, nelle tasse troppo alte.
Ognuno ha i populisti che si merita. Negli Stati Uniti l’obiettivo primario è abbattere le tasse, rompere il contratto sociale ispirato a Franklyn Delano Roosevelt e spezzare le reti di sicurezza sociale che proteggono i poveri e gli anziani. Nel Vecchio Continente crescono le spinte antieuropee e xenofobe. Ma per battere i populisti bisogna affrontare i nodi reali, non basta scandalizzarsi.