Ventuno anni di carcere. È questa la pena che rischia Anders Behring Breivik, per il momento l’unico arrestato per il massacro di Oslo. È responsabile dell’uccisione di almeno 91 persone. Prima un’esplosione nei pressi della sede del Governo, poi la sparatoria sulla piccola isola di Utoya, dove era in corso un raduno di giovani laburisti. Ma il giovane attentatore – che secondo alcune agenzie di stampa internazionali dovrà rispondere del reato di attività terroristica – non avrà l’ergastolo. «La pena massima che una Corte di giustizia può applicare – spiegano dall’ambasciata italiana di Oslo – arriva al massimo a ventuno anni di reclusione».
Nessuno scandalo. Ha scontato “solo” ventuno anni di carcere anche Arnfinn Nesset, il più sanguinario serial killer del Paese. Direttore di una clinica nel piccolo paese di Orkdal, nei primi anni ’80 è stato giudicato colpevole di aver avvelenato ventidue pazienti. Gli omicidi si sarebbero consumati dal 1977 al 1981. Ma il sospetto è che le vittime siano state più di un centinaio. «Ne ho uccisi così tanti – raccontò Nesset durante un interrogatorio – da non ricordare neppure il numero». In questo caso la giustizia norvegese non ha fatto eccezioni. Nonostante l’accusa avesse chiesto un’ulteriore pena detentiva, Nesset è uscito dal carcere nel 2004. A ventuno anni esatti dal suo arresto.
La sua resta comunque una pena record. La maggior parte dei carcerati norvegesi non passa in galera più di quattordici anni. Eppure una pena “indefinita” esiste, almeno in teoria. «Si chiama “Forvaring” – spiegano ancora dall’ambasciata italiana di Oslo – Funziona così: dopo ventuno anni in prigione il detenuto viene nuovamente giudicato. Se il pubblico ministero convince il giudice che c’è ancora un reale pericolo per la società, la Corte può condannare il carcerato ad altri cinque anni». Al termine dei cinque anni, il procedimento si ripete. «Sia chiaro – dicono ancora dall’ambasciata – è un sistema che viene utilizzato molto raramente».
È il modello norvegese. «La prigione – raccontava qualche anno fa a Repubblica Oeyvind Alnaes il direttore del carcere modello di Bastoey – non migliora la gente. Per questo abbiamo dovuto cercare altre strade. Se tratti male una persona, quello che la persona impara è trattare male gli altri. Se li vedi come pericolosi criminali continueranno a essere pericolosi criminali. Se rispetti, insegni a rispettare». Qualunque sia il delitto, dopo poco più di vent’anni il responsabile torna a casa. «Perciò ogni detenuto – è il pensiero del direttore del carcere – un giorno tornerà ad essere il tuo vicino di casa. E se non gli insegni come comportarsi, allora sì che devi temere». Dati alla mano, il sistema sembra funzionare: secondo alcuni studi nei due anni successivi al rilascio, torna in cella solo il 20 per cento dei detenuti. In Italia sono più del 50 per cento.