Cara Italia, adieu. Dopo dodici anni dalla prima apertura, a Milano nella centralissima via Torino, la Fnac potrebbe chiudere tutti gli otto punti vendita presenti sul territorio nazionale. Secondo quanto rivelano alcune fonti a Linkiesta, nell’ambito del piano varato lo scorso gennaio, il colosso transalpino specializzato nella distribuzione di libri, cd, dvd ed elettronica pare non abbia più intenzione di investire nel Paese. A meno di riuscire a trovare un compratore in questi mesi, l’ipotesi che circola è un addio all’Italia.
Le ultime notizie ufficiali risalgono a inizio gennaio, quando in un comunicato che annuncia la strategia “Fnac 2015” – 80 milioni di risparmio nel 2012, 310 licenziamenti in Francia e 200 complessivi nelle sedi estere, esclusa l’Italia – si legge: «In Italia, dove non sussistono più le condizioni per operare in proprio, Fnac sta studiando tutte le opzioni e prenderà una decisione entro la fine dell’esercizio».
«Non abbiamo in mano ancora niente, a parte il comunicato di gennaio. L’ultima risposta scritta da parte della società alle nostre richieste risale a circa una ventina di giorni fa, in cui si ribadisce che ancora non è stata presa una decisione sul futuro dei lavoratori italiani», dice Daria Banchieri della Filcams-Cgil, che sta seguendo l’evolversi delle trattative. Negli ultimi mesi, Fnac né ha mai smentito le notizie apparse nei mesi scorsi sui quotidiani, che denunciano il rischio chiusura per lo store del Vomero, a Napoli, e a Torino.
Eric Joselzon, direttore delle operazioni di Fnac Italia, spiega a Linkiesta: «Per il momento di chiusura non se ne parla, stiamo studiando tutte le opzioni. Capisco la reazione dei lavoratori dopo il primo comunicato, ma per ora sul tavolo non c’è una soluzione definitiva. E per trovarla abbiamo tempo fino alla fine dell’anno».
Lascia ben poco spazio ai dubbi, invece, la nota diffusa da Ppr – il gruppo presieduto da François-Henri Pinault, che controlla celeberrimi marchi come Bottega Veneta, Yves Saint Laurent e Puma, oltre appunto a Fnac – il 16 gennaio scorso, e riferito alla riclassificazione di alcune poste del bilancio 2010 come attività cessate, «vendute o da vendere»: Redcats e Fnac Italia. «Il comunicato riguarda la norma contabile “Ifrs5”, in base alla quale il gruppo ha deciso di non avere più il controllo al 100%, ma di scendere sotto il 50% di alcune attività tra cui Fnac Italia», osserva ancora Joselzon. A giudicare dai conti 2011 di Ppr, del resto, non c’è da stupirsi: il risultato operativo in un anno è sceso da 191,9 a 102,6 milioni di euro (-46,5%) e il margine operativo lordo da 253,6 a 173,6 milioni di euro (-31,5%), mentre il fatturato è passato da 4,3 a 4,1 miliardi di euro.
Da qui la necessità di un piano di riconfigurare la catena dei negozi, che oltre ai licenziamenti prevede il blocco delle assunzioni, tagli salariali e la rinegoziazione dei canoni di locazione per i 156 negozi sparsi in Francia (80), Spagna (23), Portogallo (17), Italia (8), Belgio (9), Brasile (10) e Svizzera, Paese dove i 4 store saranno gestiti direttamente da Parigi. Nella capitale francese i dipendenti non hanno impiegato mezze misure per far capire il loro dissenso, sequestrando per sette ore Bruno Ferrec, direttore di nove punti vendita, il 31 marzo scorso al termine di un lungo negoziato salariale che coinvolge 150 lavoratori.
Fondata a Parigi nel 1954 da Max Théret, militante trozkista, e dall’amico André Essel, la “Fédération nationale d’achat des cadres” (Fnac) inizialmente non era altro che una rivendita di quadri e apparecchiature fotografiche all’interno di un appartamento parigino. «L’azione a favore del consumatore era la continuazione dell’azione politica» era il credo di Théret, scomparso quasi centenario nel 2009. Mettendo a frutto il concetto di “economia di scala”, cioè ottenendo forti ribassi dall’acquisto di grandi quantità di merce, riuscì a spuntare prezzi più bassi della concorrenza, organizzando antesignani gruppi d’acquisto e aprendo, nel 1974, la prima libreria parigina a prezzi scontati. «Per me il denaro non è mai stato un tabù […] apprezzo il lavoro di coloro la cui immaginazione e azione innovativa permette successi corretti e piacevoli» ebbe a dire egli stesso, da degno rappresentante del salotto rosso, come ha ricordato il giornale online Mediapart a pochi giorni dalla sua morte.
Sbarcata in Italia nel 2000 attraverso Società Cultura & Comunicazione, joint venture paritetica – sciolta nel 2002 – con Coin «Cercavamo un partner che ci aiutasse ad avere location adeguate nei centri storici e Coin in quel momento aveva da offrirci interessanti opportunità derivanti dalla acquisizione di Standa» disse all’epoca il presidente Jean Paul Giraud. Serge Weinberg, presidente del gruppo Ppr, aveva detto nell’ottobre del 2000: «L’Italia è un paese strategico, presto sarà secondo dopo la Francia per giro d’affari». Poi è arrivato l’iPod, il boom dell’e-commerce e la crisi dei debiti sovrani in Europa. «In Francia è stata fatta una scelta in direzione della vendita di piccoli elettrodomestici di fascia alta, in generale dobbiamo affrontare un problema di ridimensionamento dei negozi perché sono un po’ troppo grandi, ne avremo meno e più piccoli», conclude Joselzon. Sperando che i circa 600 dipendenti italiani non vengano sacrificati.
Twitter: @antoniovanuzzo