CREVALCORE (BO) – Il terremoto non li ha fermati. «Siamo gente tosta noi» ti raccontano per strada. Difficile non essere d’accordo. Attaccati alla propria azienda, gli emiliani sono orgogliosi del proprio lavoro. Dopo le scosse di ieri, tanti hanno dovuto piegarsi al disastro. Hanno chiuso i negozi e le aziende. Tanti altri continuano la propria attività, ostinati e fieri. Persino nei capannoni industriali che spuntano a centinaia appena fuori dalle cittadine. Il simbolo stesso della tragedia di questa terra.
Nella campagna tra Crevalcore e Cento, ai confini tra le province di Bologna e Ferrara, tante imprese hanno deciso di andare avanti. La zona è compresa tra l’epicentro del terremoto del 20 maggio e quello di ieri. Qui i capannoni che hanno retto alle scosse sono ancora aperti.
È il caso della B.C. Bertelli. Un’azienda familiare che lavora lamiere per conto terzi. Il capannone industriale avrà vent’anni, ma non ha nemmeno una crepa. «L’ha costruito una ditta di Arezzo che forniva soprattutto l’estero – racconta Lorenzo, il capofamiglia – Era già soggetta a normative antisismiche più stringenti». Uno dei figli, Valerio esce incuriosito dall’ufficio. «Il capannone? ha tenuto botta. Anzi, è più sicuro qui che a casa nostra».
Su un camioncino parcheggiato in strada sono già stati caricati alcuni rulli di metallo. «Servono per stampare le ceramiche – racconta Lorenzo, un altro figlio – sono diretti in alcuni paesi arabi ma di solito questi rulli li spediamo in Cina». Dentro al capannone un altro fratello sta tagliando alcuni pezzi di metallo. Sono destinati alla Toyota, in Giappone. Serviranno per costruire alcuni modelli di Yaris.
In famiglia hanno in comune l’orgoglio per la loro impresa. «Questa azienda – racconta la mamma – l’abbiamo avviata io e mio marito quarant’anni fa. Con un trapano e i soldi del matrimonio». E così la famiglia Bertelli oggi lavora. Cos’altro dovrebbe fare? Ma non sono incoscienti, anche loro hanno paura del terremoto. «Pensi che a casa nostra non abbiamo alcun danno – dice Valerio – ma non ci vogliamo più dormire. Ho già affittato un camper («Il costo? Qualcuno ovviamente sta facendo il furbo»).
Dall’altra parte della strada c’è un’altra fabbrica a lavoro. La GL1, dove si costruiscono attrezzature agricole per trattori. «Ha presente i trinciaerba con cui si fa la manutenzione sulle autostrade?» spiega Giordano, uno degli operai. L’orgoglio di chi ci lavora è lo stesso. «Gli italiani sono i migliori costruttori di macchine agricole» racconta Claudio, il titolare. Un’eccellenza italiana che il terremoto non ha fermato. «Le grandi multinazionali non vi fanno concorrenza?». «Ci provano» risponde Claudio con un sorriso.
Qui vicino il terremoto ha distrutto diversi paesi. «Certo che c’è paura – racconta Giordano – Ad ogni scossa si scappa. E chi dice che martedì non ha avuto paura dice una bugia». E allora perché sono tornati in fabbrica? «Mica siamo costretti a stare qui, ma ci sono consegne da rispettare». Quasi si stupiscono. «Che facciamo, stiamo fermi?». Nella GL1 quasi tutti gli operai sono del posto. Dieci italiani, un pakistano e un marocchino. «Siamo tutti una grande famiglia» racconta Claudio.
La sua prima preoccupazione è stata quella di mettere in sicurezza l’impianto. Tolti i materiali dagli scaffali più in alto, si lavora con le porte aperte, vicino alle uscite di sicurezza. «Al minimo segnale, cinque passi e siamo fuori». Le alternative? «Non ci sono informazioni scientifiche precise – continua Claudio – Qui dicono che le scosse andranno avanti per mesi, che facciamo rimaniamo fermi per sempre?».
Anche questa struttura ha retto alle scosse. «Non c’erano danni evidenti, come i vetri rotti delle finestre. Quello è sempre il primo segnale». Ma per maggiore sicurezza Claudio ha chiamato la ditta che ha costruito il capannone, che dopo un’ispezione ha assicurato sulla tenuta dello stabile.
Alla B.C. Bertelli quello delle consegne è uno dei problemi principali. «Chi si ferma, perde il cliente. Se una grande azienda ti chiede una fornitura e tu sei fermo, loro si rivolgono a qualcun altro. In zona è pieno di aziende simili alla nostra». Quasi le giustificano. «Sono obbligati a rivolgersi altrove», spiega Valerio.
Dall’altra parte della strada il discorso è simile. «Abbiamo delle consegne da rispettare» spiega Giordano. I problemi non mancano. Dopo il terremoto tanti fornitori non lavorano più, tanti hanno rallentato. «Chi ci fornisce i cilindri – racconta Claudio – ha sospeso la produzione». Si va avanti lo stesso. «Questa non è un’attività che si può chiudere. Abbiamo consegne da fare in tutto il mondo».
Due esempi virtuosi. Ma in Emilia ci sono anche altre storie. «In realtà – racconta Valerio Bertelli – ci sono persone che sono andate a lavorare con il capannone danneggiato. Non tutti gli operai in un momento di crisi come questo possono permettersi di rifiutarsi». La soluzione? «Ci voleva un prefetto con le palle. Si doveva stabilire che per quindici giorni nessuno poteva tornare a lavoro». «E come fai – interviene il fratello – mandi l’esercito per tenere chiuse le fabbriche?».