Beppe Grillo non lo nomina mai. Ma ormai è chiaro a tutti che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non veda di buon occhio il Movimento 5 Stelle. In meno di un mese il Quirinale ha pubblicamente bacchettato il blogger genovese per tre volte. Riferimenti chiari – a volte duri, altre sarcastici – facendo sempre attenzione a non citare mai il bersaglio dei suoi strali. Quasi temesse di legittimarlo.
«La rete non è il luogo delle decisioni politiche, che appartengono ai partiti». L’avvertimento di questa mattina, davanti a un gruppo di giovani invitati al Quirinale, è forse l’intervento più netto. «Attenzione – queste le parole di Napolitano – qualsiasi canale di partecipazione, come la rete, non può condurre direttamente al luogo delle decisioni politiche. I partiti sono le cinghie di trasmissione delle istanze dei cittadini verso le istituzioni. La sfera delle decisioni politiche non si tocca». Messaggio cifrato, ma neanche troppo. L’obiettivo del monito è abbastanza ovvio: qual è oggi in Italia l’unico soggetto con finalità politiche organizzato attraverso la rete?
Per fugare ogni dubbio basta ripercorrere a ritroso le più recenti uscite del capo dello Stato. Durante le celebrazioni del 25 aprile Napolitano aveva già accusato Grillo – anche stavolta senza nominarlo – avvertendo gli italiani di non lasciarsi tentare dal «populismo» e dai «demagoghi di turno». Una decina di giorni dopo, nuovo attacco. Al termine del primo turno delle amministrative, davanti all’exploit elettorale del Movimento 5 Stelle, Napolitano aveva preferito nascondersi dietro una battuta. «Boom? Di boom ricordo solo quello degli anni Sessanta, altri non ne vedo». Una dichiarazione dal sapore sprezzante, soprattutto verso coloro i quali hanno esercitato il loro sacrosanto diritto di voto e lo hanno fatto scegliendo il movimento 5 stelle.
Non è dato sapere se due settimane più tardi, in occasione dei ballottaggi, il Capo dello Stato abbia infine sentito il botto. Quello che ha portato i grillini attorno al 15 per cento, secondo le stime di quasi tutti i principali sondaggi politici. Ma è certo che Napolitano ha già deciso da che parte schierarsi. Il Quirinale sta con i partiti. Fedele all’articolo 49 della Costituzione, che ne decreta la necessaria esistenza per garantire la partecipazione democratica di tutti i cittadini alla vita dello Stato. E questo nonostante a sessant’anni di distanza il Parlamento non abbia ancora dato piena attuazione a quella norma (dell’esigenza di adeguate iniziative «volte a sancire per legge regole di democraticità e trasparenza nella vita dei partiti» si è recentemente lamentato lo stesso Napolitano).
Ma c’è un altro articolo della Costituzione che il presidente dovrebbe sempre tenere a mente. L’articolo 87, voluto dai padri costituenti proprio per sottolineare la funzione del presidente della Repubblica. Capo dello Stato e supremo rappresentante dell’unità nazionale. Insomma, di tutti. Senza schierarsi. Ci sono partiti presenti in Parlamento da decenni e movimenti politici nati sulla rete pochi anni fa. Napolitano deve essere il presidente di entrambi. «Il web non può soppiantare i partiti» ammonisce Napolitano. E allora Federico Pizzarotti, il nuovo sindaco di Parma? Eppure la sua legittimazione politica prima che nelle urne è nata proprio sulla rete. Forse da oggi i cittadini di Parma devono sentirsi meno italiani degli altri? O sono gli utenti internet a dover temere la delegittimazione del Quirinale?
Il Movimento 5 Stelle è in crescita esponenziale. Forse per meriti e capacità dei suoi interpreti. Sicuramente grazie ai continui autogol dei protagonisti del sistema politico italiano. Giorgio Napolitano se ne faccia una ragione. Tra meno di un anno i grillini rischiano di entrare a pieno diritto in Parlamento. Gli piaccia o meno, deve essere anche il loro presidente.