CAVEZZO (MO) – «Da noi l’aceto balsamico è considerato uno di famiglia. Se fosse stato possibile ci saremmo portati anche le botti sotto le tende». I titolari dell’acetaia del Cristo non scherzano. Nella campagna modenese, il casolare è a soli cinque chilometri da Cavezzo, il paese distrutto dal terremoto. Da martedì scorso le famiglie che ci abitano lavorano giorno e notte per salvare la produzione. «Prima di essere imbottigliato – racconta Gilberto Barbieri, uno dei responsabili – il mosto d’uva cotto e fermentato deve attendere per almeno dodici anni nelle botti. Venticinque anni, quello più vecchio. Ci vogliono generazioni per arrivare al prodotto finito, nel frattempo diventa uno di famiglia per forza».
In provincia di Modena l’aceto balsamico non è un condimento. È un’istituzione. «Lo consideriamo un patrimonio – continua Gilberto – Oggi vendiamo l’aceto che è stato preparato dai nostri nonni. E iniziamo a produrre quello che venderanno i nostri nipoti». Una tradizione che il terremoto rischia di interrompere. «Chi ha perso le botti, ai propri nipoti non lascerà nulla».
Oggi il settore dell’aceto balsamico di Modena è in ginocchio. Tra aceto perduto e strutture crollate, solo lunedì scorso era stato calcolato un danno di oltre quindici milioni di euro. Poi è arrivata la seconda scossa. L’acetificio Pontiroli di San Felice sul Panaro è stato quasi completamente distrutto. Ma sono state duramente danneggiate anche decine di piccole acetaie che sorgono tra Cavezzo e Mirandola, a pochi passi dall’epicentro del secondo terremoto.
«In gran parte si tratta di produttori quasi a livello domestico – spiega Stefano Belfiori, segretario di Lapam-Confartigianato della zona – imprese con batterie da una decina di botti». Ecco perché è ancora difficile avere un’idea precisa dei danni. Molti contadini che “invecchiano” l’aceto balsamico nei sottotetti dei loro casolari di campagna non hanno ancora fatto una stima di quanto hanno perso».
L’acetaia del Cristo è la principale del modenese, considerando quelle dove si produce aceto balsamico tradizionale. Il più ricercato. Due anni fa ha vinto il premio per il miglior prodotto della provincia. Nella grande sala da pranzo è ancora appesa al muro una targa che ricorda l’evento. Ci vivono due famiglie, insieme a circa 2mila botti conservate nei sottotetti. «Se fosse crollato il soffitto – racconta Gilberto – avremmo perso circa 100mila litri di aceto balsamico». Nonostante tutto, gran parte della produzione si è salvata. Le scosse di terremoto hanno fatto fuoriuscire dalle botti circa il 20 per cento del mosto che vi invecchiava. Per un danno stimato di poco più di 500mila euro.
Fare l’aceto balsamico tradizionale non è uno scherzo. Le procedure tramandate da secoli sono precise e incredibilmente lente. Ecco perché le famiglie che lo producono ci tengono a raccontare fin nei minimi dettagli come funziona. Anzitutto la materia prima, l’uva. Deve essere usata solo quella proveniente dalla zona, da piante autoctone del territorio. Davanti all’acetaia del Cristo si estendono due vigneti di Lambrusco e Trebbiano.
Poi c’è la bollitura del mosto, che deve raddoppiare gli zuccheri («ma assolutamente non più del doppio»). Dopo la fermentazione, il mosto dolce e alcolico è pronto per essere messo nelle botti, dove ossidandosi diventerà aceto. Dalla botte più grande alla più piccola, ogni anno vengono travasate piccole percentuali di aceto. Almeno dieci trasferimenti, prima di arrivare al prodotto finito. Nel lungo passaggio da una botte all’altra, il prodotto acquista il caratteristico sapore: a seconda del legno da cui sono state ricavate le doghe (tra i più comuni il rovere, il ginepro, il ciliegio e il castagno). Non è ancora finita. L’ultimo step è l’approvazione del consorzio. Soggetta ad analisi di laboratorio, ma soprattutto all’assaggio di sei esperti degustatori. «Solo allora quello che produciamo qui – racconta fiero Gilberto – diventa aceto balsamico tradizionale di Modena». Un prodotto di assoluta qualità, che può costare dai 500 ai 2.500 euro per litro.
In provincia se ne producono solo 10 mila litri l’anno. Una parte dei quali sono stati persi durante il terremoto. Nei grandi ambienti ricavati sotto ai tetti dell’acetaia della famiglia Barbieri si lavora per mettere in sicurezza le botti rimaste integre. Per terra ci sono i resti del liquido sversato, in alcuni punti l’aceto goccia ancora formando delle pozzanghere rosse sul pavimento. Tutti pronti a correre fuori dal casolare alla prima scossa di terremoto. «Oltre all’aceto perso – continua Gilberto – per fortuna da noi non ci sono stati troppi danni». È quasi un miracolo: a pochi chilometri più a nord il paese di Cavezzo è stato distrutto. «Sono caduti alcuni calcinacci dalle travi del soffitto, c’è qualche crepa. Siamo ancora in attesa che qualche tecnico venga a vedere». Nel frattempo in giardino è stata montata un tenda da campeggio. Per evitare di correre rischi, la notte si dorme qui.