Errani a parte, il Made in Italy nel tennis ora gioca in serie B

Errani a parte, il Made in Italy nel tennis ora gioca in serie B

Il divorzio tra Novak Djokovic e Sergio Tacchini  è un svolta di business come tante, ma anche un segno dei tempi piuttosto eloquente. L’addio del serbo rammenta ancora una volta l’anacronismo del Made in Italy nel tennis: se il Belpaese ha goduto di alterne fortune sui campi da gioco (e oggi sorride con Sara Errani al Roland Garros), è però stato abituato a dettar legge sull’abbigliamento dei campioni, a cavallo degli anni settanta, ottanta e novanta. Decadi d’oro quando nei tornei di mezzo mondo dominavano Sergio Tacchini, Ellesse, Lotto, Australian, Cerruti, Maggia, Fila e LaFont. Aziende che, per crescere e affermarsi, decisero di investire nel tennis accaparrandosi fior di talenti, poi trasformati in testimonial d’eccezione.

Sergio Tacchini ha esibito alcuni tra i migliori fuoriclasse di sempre come John Mc Enroe, Jimmy Connors, Martina Navratilova, Pete Sampras, Martina Hingis e Goran Ivanisevic, sfoderando collezioni che fecero il giro del mondo. Poi il declino nei primi anni 2000, il fallimento del 2007 e il ritorno sotto insegne cinesi con la spsseonsorizzazione di tre tornei (Montecarlo, Roma, Shanghai) e l’arruolamento del brand ambassador Novak Djokovic che, di Tacchini vestito, avrebbe scalato classifiche fino ad oggi, data di una separazione molto chiacchierata.

Negli anni settanta e ottanta un concorrente di Tacchini era Ellesse, brand rosso arancio il cui nome nasce dalle iniziali del fondatore Leonardo Servadio. Nella scuderia della casa perugina c’erano i vari Chris Evert, Boris Becker, Corrado Barazzutti e la bella Anna Kournikova. Anche qui anni di gloriose cavalcate, poi il tramonto e nel 1993 la cessione alla holding inglese Pentland Group. Fila invece è passata in mani coreane, dopo aver vestito Bjorn Borg, forse il più grande tennista di sempre che tra l’altro calzava italianissime Diadora, ma anche Adriano Panatta, Monica Seles e l’ormai dimissionaria Kim Clijsters, mentre oggi deve ‘accontentarsi’ del numero uno d’Italia Andreas Seppi, Janko Tipsarevic e James Blake.

Un marchio reperibile solo tra i collezionisti è LaFont, nome celebre nel circuito che arruolò, tra gli altri, l’australiano John Alexander, sperimentando una semplice quanto efficace strategia di marketing nel 1977, quando, in occasione della finale di Coppa Davis a Sidney, bucò gli schermi tv grazie ad una massiccia distribuzione di cappellini agli spettatori.

A metà degli anni 70 l’italiana Maggia mise sotto contratto l’angelo biondo Vitas Gerulaitis, per il quale venne creata la linea d’abbigliamento con righe multicolor. Noto per la fama di tennista spericolato, Gerulaitis fu l’uomo immagine perfetto: amante della bella vita, volto ricercato per le pubblicità e assiduo frequentatore di locali anche in costanza dei tornei (a Roma era spesso avvistato al Piper). Il brand del lusso Cerruti non è più nel tennis, eppure negli anni d’oro avviò sponsorizzazioni eccellenti come quella di Mats Wilander, che con l’abito italiano vinse il suo primo Slam, e di Jimmy Connors, uno che rifiutò la corte di marchi blasonati perché considerava Cerruti l’amuleto dei suoi successi.

Può sembrare un paradosso ma di proprietà italiana resta Australian. Il marchio del canguro, uno status simbol del mondo pallettaro, si assicurò il top player Ivan Lendl mentre oggi è sponsor tecnico della Federtennis, oltre a vestire Paolo Lorenzi e Karol Beck. Anche Lotto mantiene radici nella nostra penisola. Nel corso della sua storia, il gruppo trevigiano firmò gioielli come Boris Becker e John David Newcombe. Ad oggi vanta un parterre di tutto rispetto nel circuito femminile con Agnieszka Radwanska (n. 3) e la nostra Francesca Schiavone. Primo tra gli uomini il numero 6, lo spagnolo Ferrer.

Salve le eccezioni appena documentate, il tennis attuale è roba da ricchi, affare di multinazionali con strutture pachidermiche di produzione e distribuzione come Adidas e Nike, che hanno blindato i giocatori di vertice, autentici pozzi di denaro. L’ex numero uno del mondo Caroline Wozniacki è testimonial della linea Adidas curata da Stella McCartney, mentre re Roger Federer vanta una collezione contrassegnata dalle proprie iniziali, disegnata da Nike, che già gli corrisponde un assegno annuo di circa 10 milioni di dollari. Con la stessa azienda, nel 2010, Maria Sharapova ha siglato un contratto di otto anni per la cifra di 70 milioni di dollari, a cui vanno aggiunte le royalties applicate alla sua linea di abbigliamento.

Spesso il cordone tra sponsor e atleti è fortissimo. Ne è un esempio Adidas che ha spedito alcuni coach del suo team a seguire il numero 4 del mondo Andy Murray, quando nell’aprile 2011 il tennista scozzese si separò dall’allenatore Miles Maclagan. Capita inoltre di vedere gli staff dei giocatori (preparatori, manager, allenatori e familiari) che passeggiano ai tornei vestiti di tutto punto con il medesimo brand del tennista per cui lavorano.

La rivista Forbes ha stilato l’edizione 2012 del “Celebrity 100”, classifica delle personalità mediatiche più ricche al mondo. Nella top 100 figurano ben cinque tennisti: Federer, Nadal, Sharapova, S. Williams e Na Li. Tutti sotto contratto con Nike. D’altronde basta dare un’occhiata al ranking per scoprire che dieci tra i primi venti giocatori al mondo sfoggiano uno dei due marchi sopracitati. Nel tabellone femminile sono addirittura quattordici, tra le migliori venti, le tenniste che vestono Nike o Adidas. Tra loro c’è pure Sara Errani, appena entrata nella top ten, che scende in campo griffata dal baffo statunitense. All’Italia, vecchia dominatrice, non resta che godersi i ricordi dei tempi d’oro, Novak Djokovic compreso. Per lui è arrivato un contratto milionario di cinque anni con la giapponese Uniqlo.