Poco più di 14 miliardi di euro. Ecco quanto hanno fruttato allo Stato le imposizioni fiscali sui tabacchi lavorati nel 2011. Una cifra enorme. Il fumo nuoce gravemente alla salute? Non a quella delle casse erariali. Le sigarette rappresentano una delle risorse più importanti, e ipocrite, delle finanze pubbliche. Un prodotto tassato e ritassato (tanto al fumatore che si lamenta si può sempre proporre di togliersi il vizio). Come nel caso di gas, spiriti, energia elettrica e oli minerali, il settore del tabacco lavorato è sottoposto a una doppia imposizione fiscale. C’è l’accisa, che incide per quasi il 60 per cento del costo del prodotto e l’Iva – l’imposta sul valore aggiunto – che porta la componente fiscale al 76 per cento del prezzo finale.
Se n’è discusso oggi a Roma, alla seconda edizione del Forum “La regolamentazione del settore del tabacco: quale futuro per la filiera?”. Un evento organizzato da The European House-Ambrosetti in collaborazione con la Coldiretti, la Federazione Italiana Tabaccai, Unindustria e Logista. Presente anche il vicepresidente di British American Tobacco Italia Giovanni Carucci. Tra i temi all’ordine del giorno anche la crescente pressione fiscale. Dal 2004 a oggi il prezzo delle sigarette in Italia è aumentato del 40 per cento. Intanto il settore – un comparto occupazionale che stando al rapporto Nomisma “La contraffazione delle sigarette in Italia” del 2011 impiega circa 220mila lavoratori – è a rischio. Alla fine dello scorso anno, in relazione all’aumento di un punto percentuale dell’Iva, il mercato dei tabacchi lavorati in Italia è sceso del 7 per cento. Se il prossimo autunno l’imposta sul valore aggiunto crescerà come prospettato di un altro 2 per cento, i dati sulle vendite di sigarette continueranno a diminuire. Anche perché, secondo alcune stime, il prezzo finale sarà destinato a lievitare del 10 per cento. Circa 40 centesimi di euro in più a pacchetto.
Sembrerebbe un bene, quantomeno per la salute degli italiani. Ma non è così. Nonostante tutto, infatti, il numero dei fumatori continua ad aumentare. Stando ai dati presentati dall’indagine Doxa 2011 “Fumo in Italia” dopo un periodo di relativa stabilità, all’inizio dello scorso anno la percentuale dei fumatori di sigarette nel nostro Paese è tornata a crescere: dal 21,7 al 22,7 per cento. Meglio allora regolamentare il settore come propone un disegno di legge bipartisan attualmente all’esame del Senato. Un provvedimento promosso dal Pd Ignazio Marino e dal Pdl Antonio Tomassini che prevede l’innalzamento del divieto di vendita dei tabacchi lavorati da 16 a 18 anni, ma anche il potenziamento di quelle attività di prevenzione e informazione dedicate ai consumatori.
Intanto in Italia aumentano i fumatori e diminuiscono le vendite di sigarette. La prima conseguenza è il boom del consumo di altri prodotti “simili”. È il caso del tabacco sfuso, che in due anni ha visto salire la propria quota di mercato di circa il 30 per cento. Ma anche dell’illegalità: con un aumento esponenziale dei fenomeni del contrabbando e della contraffazione. Il rapporto Nomisma del 2011 fotografa il settore: solo nel 2010 in Italia il mercato illecito ha interessato quasi 3 miliardi di sigarette.
Non stupisce che il fenomeno sia in continua crescita. I dati forniti dalla Guardia di Finanza sono piuttosto espliciti. Nel 2007 erano state sequestrate 124 tonnellate di sigarette illegali, due anni più tardi, 297 tonnellate. Più del doppio. E per la fine del 2012 si stima una confisca di oltre 310 tonnellate.
A farne le spese, paradossalmente sono proprio le casse dello Stato. Secondo i dati dell’Ufficio Europeo per la Lotta Antifrode (Olaf) il commercio illecito di tabacchi lavorati comporta una perdita di ricavi nazionali e comunitari pari a circa 10 miliardi di euro l’anno. In Italia, dati del Rapporto Nomisma, nel 2010 sono state sottratti alle casse pubbliche 485 milioni di euro. Ma a farne le spese sono stati anche agricoltori, produttori e distributori, che hanno visto andare in fumo oltre 150 milioni di euro.