Mario Monti è riuscito a sminare il percorso del governo, almeno per ora. Ieri sera i tanti, troppi fronti di scontro con il Parlamento – oltre all’aggravarsi della crisi finanziaria – hanno reso necessario un intervento del presidente del Consiglio. Una riunione convocata all’improvviso con i tre leader di Pdl, Pd e Terzo polo per ristabilire quel rapporto di coesione che aveva caratterizzato i primi mesi del professore a Palazzo Chigi. Necessità ribadita questa mattina durante l’informativa di Monti alla Camera sul vertice europeo dello scorso 23 maggio.
Monti ci mette una pezza. Sigla una tregua con i partiti che nelle ultime settimane erano sembrati un po’ troppo distanti dagli obiettivi dell’esecutivo. E riesce persino a rispolverare l’antica consuetudine dei vertici ABC, che le ultime elezioni amministrative sembravano aver definitivamente relegato a una fase politica ormai chiusa. L’ex commissario Ue strappa un rinnovato sostegno. Un passaggio obbligato. Importante dal punto di vista mediatico, per consegnare agli osservatori internazionali l’immagine di un Paese unito. Ma anche, più concretamente, per sbloccare le tante partite rimaste in sospeso: dalla riforma del Lavoro al provvedimento anticorruzione, fino alle nomine sulla Rai.
Il rinnovato patto con i partiti della maggioranza è l’unica strada per superare le difficoltà – apparse in alcuni casi quasi insormontabili – nate nell’ultimo periodo. A partire proprio da quel disegno di legge anticorruzione che la Camera dovrà licenziare entro domani. Saltata la presentazione del maxiemendamento, oggi a Montecitorio i deputati voteranno tre diverse fiducie, legate agli articoli più spinosi del testo. Nelle ultime settimane la situazione era diventata esplosiva. Da una parte il Pdl e le minacce di non votare la fiducia. Dall’altra l’avvertimento del ministro Severino: senza approvazione il governo va a casa. Una tensione crescente che forse, più di altre preoccupazioni, ha spinto Monti a convocare il vertice serale di ieri.
La lista dei dossier a rischio stallo prosegue. C’è il decreto sviluppo (ma oggi Monti, da sempre sensibile agli slogan, ha chiesto di ribattezzare il provvedimento “Operazione crescita”). Doveva essere licenziato dal Consiglio dei ministri la scorsa settimana, poi l’approvazione è saltata per uno scontro tra il titolare dello Sviluppo economico Corrado Passera e il viceministro del Tesoro Vittorio Grilli. Segno di un certo nervosismo all’interno della squadra di Monti, che forse dovrebbe preoccupare il presidente del Consiglio ancor più della lontananza dei partiti.
Come se non bastasse, negli ultimi giorni è tornato incandescente il confronto sugli esodati: la platea di lavoratori rimasti senza occupazione e senza pensione. Erano 65 mila, sono improvvisamente diventati 390mila. Abbastanza per far infuriare il ministro Elsa Fornero con i vertici dell’Inps, colpevoli di aver diffuso dati parziali. Un altro scontro che mette a rischio l’operato dell’esecutivo. Oggi la Lega Nord ha avviato una raccolta di firme per sfiduciare in Aula il ministro. Ieri ha perso la pazienza persino Pier Ferdinando Casini – «Ora basta, sugli esodati vogliamo chiarezza» – il più convinto sostenitore del governo tecnico. Altro campanello d’allarme.
Poi c’è il Partito democratico. Altra fonte di apprensione per Mario Monti. Anzi, è stata proprio la decisione di Pierluigi Bersani sulle nomine Rai – il Pd assicura che non parteciperà all’elezione dei nuovi membri del Cda in Vigilanza – ad aver infastidito più di ogni altra cosa il presidente del Consiglio. Preoccupato dall’ennesima vicenda rimasta impantanata nello scontro tra centrodestra e centrosinistra.
In pochi ne parlano, ma in Parlamento tiene ancora banco la riforma del mercato del Lavoro. Dopo l’approvazione in Senato, da qualche giorno il provvedimento è arrivato in commissione a Montecitorio. «E anche su questo tema il governo è destinato a ballare» raccontavano non più tardi di ieri alcuni deputati che stanno seguendo il dossier. Pd e Pdl hanno avanzato diverse richieste per modificare il testo. Dal governo c’è chi non nasconde la preoccupazione per un altro confronto che rischia di rimanere bloccato dai veti reciproci dei partiti di maggioranza.
Ecco perché il presidente del Consiglio stamattina ha chiesto ufficialmente ai partiti di accelerare. Di mostrare all’Europa la capacità del Paese di approvare in tempi rapidi le riforme necessarie. Insomma, si tratta di «intensificare l’azione – la richiesta di Monti alla Camera – in particolare per quanto riguarda i tempi». Per ora Monti sembra riuscito nel suo intento. In Aula Alfano e Bersani confermano il rinnovato appoggio al governo. «Lei ha il sostegno delle principali forze politiche italiane – ha scandito il segretario del Pdl – Saremo al suo fianco». «Garantiamo la sua azione con sostegno pieno» ribadisce il leader Pd.
Quanto durerà? Difficile dirlo. L’avvicinarsi delle elezioni allontanerà di nuovo i partiti (da Palazzo Chigi, ma anche tra loro). È fisiologico. E da questo punto di vista l’approssimarsi della scadenza elettorale difficilmente gioverà all’operato dell’esecutivo. Peraltro è evidente che la sintonia tra governo e Parlamento di qualche mese fa appartiene ormai al passato. I rapporti sono cambiati. Lo spiega perfettamente Casini, quando lamentandosi in Aula delle ultime ricostruzioni giornalistiche dice: «Monti non ha messo in riga nessuno. Ieri è stata una verifica reciproca». Insomma, il presidente del Consiglio avrà pure riconquistato il sostegno dei partiti, ma l’epoca delle convergenze acritiche – ammesso che ci sia mai stata – è definitivamente tramontata.